lunedì 30 settembre 2013

Parola di vita - ottobre 2013



«Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge» (Rm 13,8)
Nei versetti precedenti (Rm 13, 1-7) san Paolo aveva parlato del debito che noi abbiamo verso l’autorità civile (ubbidienza, rispetto, pagamento delle imposte, ecc.) sottolineando che anche l’assolvimento di questo debito deve essere animato dall’amore. Comunque, si tratta di un debito facilmente comprensibile, anche perché, in caso di inadempienza, si incorrerebbe nelle sanzioni previste dalla legge.
Partendo da qui, ora passa a parlare di un altro debito, un po’ più difficile da capire: è quello che, conforme alla consegna lasciataci da Gesù, noi abbiamo verso ogni nostro prossimo. E’ l’amore scambievole nelle sue varie espressioni: generosità, premura, fiducia, stima reciproca, sincerità, ecc. (cf Rm 12, 9-12).
«Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge»
Questa Parola di vita ci mette in evidenza due cose.
Anzitutto l’amore ci viene presentato come un debito, cioè come qualcosa di fronte al quale non si può rimanere indifferenti, non lo si può rimandare; come qualcosa che ci spinge, ci incalza, non ci dà pace fintanto che non lo si sia pagato.
E’ come dire che l’amore scambievole non è un “di più”, frutto della nostra generosità, da cui a rigore di termini potremmo dispensarci senza incorrere nelle sanzioni della legge positiva; questa Parola ci chiede pressantemente di metterlo in pratica sotto pena di tradire la nostra dignità di cristiani, chiamati da Gesù ad essere strumenti del suo amore nel mondo.
In secondo luogo ci dice che l’amore scambievole è il movente, l’anima e il fine, verso cui tendono tutti i comandamenti.
Ne segue che, se vogliamo compiere bene la volontà di Dio, non ci si potrà accontentare di un’osservanza fredda e giuridica dei suoi comandamenti, ma occorrerà tenere sempre presente questo fine, che attraverso di essi Dio ci propone. Così, ad esempio, per vivere bene il settimo comandamento non ci si potrà limitare a non rubare, ma ci si dovrà impegnare seriamente per eliminare le ingiustizie sociali. Soltanto così dimostreremo di amare il nostro simile.
«Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge»
Come vivere allora la Parola di questo mese?
Il tema dell’amore del prossimo, che essa ci ripropone, ha un’infinità di sfumature. Qui ne fisseremo soprattutto una, che ci sembra suggerita in modo particolare dalle parole del testo.
Se, come dice san Paolo, l’amore vicendevole è un debito, occorrerà avere un amore che ama per primo come ha fatto Gesù con noi. Sarà, quindi, un amore che prende l’iniziativa, che non aspetta, che non rimanda.
Facciamo, allora, così in questo mese. Cerchiamo di essere i primi ad amare ogni persona che incontriamo, alla quale telefoniamo, scriviamo, o con la quale viviamo. E sia il nostro un amore concreto, che sa capire, prevenire, che è paziente, fiducioso, perseverante, generoso.
Ci accorgeremo che la nostra vita spirituale farà un balzo di qualità, senza contare la gioia che riempirà il nostro cuore.
Chiara Lubich


 Parola di vita pubblicata in Città Nuova 1990/15/16, p.9.
Bibbia, versione CEI 1974 – La traduzione CEI 2008 riporta: “Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge”.

domenica 29 settembre 2013

Sono soltanto marionette

Mi scrive qualcuno chiedendomi cosa penso della situazione che si è creata nella politica italiana, concludendo con un'amaro "d'Italia si muore".
Non so cosa pensare. I paragoni portano sempre lontano eppure il teatro delle marionette è l'unico pensiero che mi viene in mente.
E con le marionette ci si può anche divertire, basta pensare che sono soltanto marionette...
La vita appartiene ai vivi, a chi costruisce e negli intervalli, per sgranchirsi, va a vedere come si azzuffano le marionette.

venerdì 27 settembre 2013

Saper leggere i segni!



Leonardo è un professionista affermato. I suoi genitori sono morti nel giro di un anno, senza aver provato la gioia di vedere sistemato il loro unico amato figlio.
Il suo dramma è che non riesce a capire il senso di quello che accade, il senso della vita, del dolore. Neanche l’amore della sua donna schiarisce le tenebre. Si chiede come mai il mondo si regga e vada avanti su sistemi di egoismo raffinati. Confida la sua inquietudine a un amico il quale gli suggerisce, per capire il senso della vita, di imparare a leggere i segni che ogni giorno presenta. Gli sottolinea, però, la necessità di perdere le convinzioni acquisite o comunque di essere aperto a ciò che la vita dice. Non passò molto tempo e Leonardo sentì di aver trovato la pace. “Non è un bene che io posseggo ma la certezza di stare davanti a qualcuno, una persona che mi guarda con tale amore da assicurare la mia crescita. Non si è trattato di conquistare nuove conoscenze ma di perdere tutto ciò che sapevo e che era la mia roccaforte. La fede è adesione al mistero, è un rapporto con qualcuno che c’è sempre!”

Pubblicato su "Vangelo del giorno, Città Nuova, dicembre 2012, pag. 11

giovedì 26 settembre 2013

Chi sono?



Dietrich Bonhoeffer, teologo ed esponente di rilievo della Resistenza tedesca al nazismo, fu imprigionato, condannato a morte e infine impiccato, nell'aprile del 1945, per ordine di Hitler.
Scrisse questi versi nel carcere militare di Tegel, a Berlino. Li accluse a una lettera all’amico Eberhard Bethge dell’8 luglio 1944.


Chi sono?
Chi sono? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
sciolto e sereno e saldo
come un signore dal suo castello
Chi sono? Spesso mi dicono
che parlo con i sorveglianti
libero e cordiale e franco
come se avessi da comandare.
Chi sono? Mi dicono anche
che i giorni porto della malasorte
imperturbabile, sorridente e fiero,
come chi è uso alle vittorie.
Davvero sono quello che altri di me dicono?
O son soltanto ciò che io stesso di me so?
Inquieto, nostalgico, malato, come un uccello in gabbia,
boccheggiante per un soffio di vita, come se mi strozzassero,
affamato di fiori, di colori, cinguettii,
assetato di buone parole, di calore umano,
tremante d’ira per l’arbitrio e la minima offesa,
tormentato dall’attesa di grandi cose,
invano trepidante per amici a distanza infinita,
stanco e troppo vuoto per pregare, per pensare, per fare,
fiacco e pronto a dire addio a tutto?
Chi sono? Questo o quello?
Sono forse oggi questo e domani un altro?
Sono entrambi al contempo? Dinanzi agli uomini un ipocrita
e per me stesso un debole piagnucoloso degno di disprezzo?
O forse ciò che è ancora in me assomiglia all’esercito in rotta
che arretra confuso dinanzi a vittoria già ottenuta?
Chi sono? Solitario porsi domande si fa beffe di me.
Chiunque io sia, Tu mi conosci, Tuo sono, o Dio!

mercoledì 25 settembre 2013

Perché la rosa?





Ti svelerò di nascosto perché sorride la rosa:
perché una bellezza la prenda tra le mani e la respiri.

Jalal al-Din Rumi (1207-1273)

martedì 24 settembre 2013

Una pagina di Tiziano Terzani




«La situazione era perfetta. Era quella che da tempo sognavo: avevo intere giornate di libertà, nessun impegno, nessun dovere e l'incredibile agio di lasciare vagare la mente, senza interruzioni, senza l'idea - un tempo l'ossessione - che avrei dovuto fare qualcos'altro. Dopo tanto clamore godevo finalmente di tanto silenzio. Per anni, preso da guerre, rivoluzioni, alluvioni, terremoti, grandi mutamenti dell'Asia, ero stato un appassionato osservatore di vite in pericolo, vite distrutte o, più spesso, sprecate: tantissime vite altrui. Ora osservavo semplicemente quella che più mi riguardava: la mia.
Mai, prima di allora, mi ero tanto sentito fatto di materia; mai avevo dovuto guardare così da vicino il mio corpo e soprattutto imparare a mantenerne il controllo, a esserne padrone, a non farmi troppo dominare dalle sue richieste, i suoi dolori, le sue palpitazioni e i suoi urti di vomito.
Mi resi conto di come, fino ad allora, avendo lavorato per un settimanale, il mio ritmo biologico e i miei stati d'animo erano stati determinati dalle scadenza - e spesso dall'angoscia - dell'articolo da scrivere. Ora tutti i giorni della settimana erano uguali, senza alti né bassi: semplicemente, meravigliosamente piatti. E nessuno voleva niente da me.
Ogni stagione ha i suoi frutti e la mia stagione giornalistica aveva fatto i suoi. Col passare degli anni avevo incominciato a capire che i fatti non sono mai tutta la verità e che al di là dei fatti c'è ancora qualcosa - come un altro livello di realtà - che sentivo di non afferrare e che comunque sapevo non interessare il giornalismo, specie per come viene ormai praticato. Avessi continuato in quel mestiere, al massimo avrei potuto tentare di essere come ero già stato. Il cancro mi offriva una buona occasione: quella di non ripetermi.
Non era la sola. Lentamente mi accorsi che il cancro era diventato anche una sorta di scudo dietro il quale mi proteggevo, una difesa contro tutto quel che prima mi aggrediva, una sorta di baluardo contro la banalità del quotidiano, gli impegni sociali, contro il fare conversazione. Col cancro mi ero conquistato il diritto di non sentirmi più in dovere di nulla, di non avere più sensi di colpa. Finalmente ero libero. Totalmente libero. Parrà strano, e a volte pareva stranissimo anche a me, ma ero felice».

Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, Longanesi & C, p. 13-14