venerdì 4 dicembre 2009

Volo nazionale



-->L’aereo decolla, le hostess eseguono quello che l’altoparlante dice in due lingue. Recitano con gesti uguali e puntuali i suggerimenti di come allacciare e slacciare la cintura, come gonfiare il salvagente, come comportarsi in caso di necessità. Un bambino ripete i gesti delle hostess. “Voglio il salvagente!” grida alla mamma.
Un signore che siede accanto a me, dal portamento atletico, stile casual, sbuffa: “Tutte storie! Nessuno si è mai salvato con questi consigli. È un gesto scaramantico”. Inizia con lui una chiacchierata generica. Durante un silenzio apro l’agenda dove ho appuntato il programma che mi attende. Con la coda dell’occhio scorgo nel corridoio dell’aereo l’hostess che avanza molto lentamente. Vedo che sta aiutando un’anziana signora. La tiene per mano come fosse una bambina e lei si aggrappa all’elegante hostess con tutte e due le mani. È una vecchietta mezza cieca evidentemente disorientata da un viaggio forse non usuale per lei.
Chi mi sta seduto vicino mi fa cenno di osservare l’hostess: “Ma non è quella di prima? Che strano, non avrei mai pensato che una tale bambola potesse avere tratti di maternità. Sconvolgente!”.
La signora che occupa il posto vicino all’oblò interviene: “Un giorno nella metropolitana di Roma è salito uno zingaro musicante con una bambina piccolissima che lui mandò in giro a raccogliere soldi. Quella bambina era talmente bella e talmente piccola che ha sciolto l’aria di diffidenza e fastidio che si era dipinta sui volti attorno”.
Al vicino viene in mente che una volta stava attendendo il suo capo alla fermata di un bus e l’impazienza si era già impadronita di lui. Lo sguardo gli cade sul tram che si stava mettendo in movimento e scorge un giovane che prontamente si stava alzando per cedere il posto ad un anziano. “Quel gesto ha messo a nudo la mia impazienza. Anche la persona che attendevo era anziana e potevo anch’io fare un gesto cortese, quello di non fargli pesare il ritardo”.
“Quanti gesti emanano pace o quanti aumentano le tensioni! ‑ Pensai.‑Eppure forse mai sapremo fin dove agiscono i nostri comportamenti, come quel ragazzo sul tram che non sa nemmeno cosa ha prodotto il suo gesto”.
Il vicino, quasi leggendomi il pensiero, dice: “Chissà quante di quelle milioni di cose che facciamo producono effetti di cui mai avremo riscontro, come un sasso che butti nell’acqua e le sue onde si allargano, si allargano! Mi chiamo Marco”, dice porgendomi cordialmente la mano. “Piacere, Gaetano!”. “E io sono Francesca!” si fa avanti spontaneamente la signora.
Il mare bianco di nubi sotto di noi ci faceva sentire leggeri e veloci. Quando l’hostess viene a offrirci le bibite Francesca dichiara di essere medico e si offre, se ce ne fosse necessità, di fare qualcosa per quella donna che prima aveva accompagnato. L’hostess accoglie subito l’offerta perché sembra che la vecchietta sia stata colta dal panico. Francesca si alza senza prendere nulla di quanto le veniva servito, prende invece una borsetta dal ripostiglio sopra di noi. “Mi porto sempre dietro il mio pronto soccorso!”.
“Che strano mondo ci tocca abitare! - esclama Marco. - Ciascuno di noi è assetato di fare il bene, ma ha paura. Perché? Teme di perdere qualcosa? Osservando il vivere degli uomini mi sembra che il bene che ogni volta facciamo si assomma al bene fatto prima, non si perde. E tu che ne pensi?”.
Cerco nelle mia vita quei fatti che sorreggono le mie convinzioni.
“Anch’io sono convinto che il bene si assomma al bene mentre il male si corrode in se stesso. Sono credente e come tale penso sia determinante il valore che si dà agli altri, ad ogni altro. Una sera alla fermata di Piazza Mosca a Budapest, salì sul tram dove viaggiavo, un barbone. Accanto a lui si fece il deserto. Non era facile restargli vicino. Lo aiutai a sedersi. Era ubriaco. Quando fummo ad una certa fermata, dopo avermi chiesto conferma della stazione, si alzò, come potette, per dirigersi verso l’uscita, ma girandosi verso di me, barcollando, mi si fece vicino e, fissandomi con due occhi che riflettevano un cielo lontano, compose il gesto di un abbraccio. L’alcol evidentemente non gli aveva impedito di percepire che lo avevo rispettato. Da allora, anche con un certo impegno, ho imparato a non lasciarmi condizionare dalle esperienze già fatte, sia positive che negative e di mettermi di fronte ad ogni persona, ad ogni evento come se non sapessi nulla. Questo esercizio mi ha insegnato non solo a scoprire e ad apprezzare gli altri ma anche a vedere di cosa io stesso sia capace. Ho letto che il fenomeno della fata morgana si spiega perché nella nostra mente abbiamo delle forme che applichiamo a quei raggi luminosi che rifrangendosi ci raggiungono attraverso l’atmosfera. Praticamente noi vediamo soltanto quelle forme che già conosciamo. È un miraggio. Tante volte ho notato che più che cercare di conoscere una persona per quello che è mi lascio condizionare da quello che già so, dal miraggio”.
Francesca ritorna quando sente l’annuncio di riallacciarsi le cinture perché inizia l’atterraggio e ci racconta che la vecchietta aveva attraversato l’Atlantico. Ora da Roma tornava in Sicilia. Era andata ad assistere un figlio morente che, emigrato negli USA, non era mai tornato in Italia. Dolore per il figlio, disorientamento per questo suo primo viaggio fuori dal suo paesino.
“Si è distesa dopo un bel pianto. Ho pianto con lei. Basta così poco per scoprire che siamo uguali! Se si sapesse quanto bisogno abbiamo l’uno dell’altro le cose andrebbero diversamente”. Così diceva Francesca guardando fuori dal finestrino.
Anch’io con Marco sbirciamo. La Sicilia sembrò attenderci in festa. Saremmo rimasti ancora a volare.


Città Nuova, 22/2006
Foto di Attila Adam

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