domenica 16 gennaio 2011

NELLA CORONA DI MARIA


Alla notizia della beatificazione di Giovanni Paolo II, sono andato a vedere in una mia pubblicazione come ne avevo parlato. Copio le pagine: 

Ripercorro quegli anni e mi rendo conto che il Concilio fu una vera rivoluzione coperni­cana. Come ebbe a dire Paolo VI parlando della «riforma del­la Chiesa», il Vaticano II non era pensato diversamente da un «risveglio di immense energie spirituali e morali, quasi latenti nel seno della Chiesa»; «un ringiovanimento, sia delle sue for­ze interiori, sia delle norme che regolano le sue strutture cano­niche e le sue norme rituali».
Decenni di trasformazioni forti che non investono soltanto la Chiesa e i Paesi occidentali, ma lambiscono rive di fiumi freddi e lontani. Dopo Paolo VI e Giovanni Paolo I, un Papa polacco viene per compiere quanto i predecessori avevano ini­ziato e a dare la sua impronta inconfondibile che avrà effetti ol­tre la cortina di ferro. In Russia la «perestrojka» di Gorbaciov aveva aperto nuove finestre e muffe decennali erano comincia­te ad asciugarsi. Gorbaciov stesso dichiarerà a «La Stampa» che tutto quello che era successo in Europa orientale non sa­rebbe avvenuto senza la «presenza di questo Papa, senza il grande ruolo, anche politico, che lui ha saputo giocare sulla scena mondiale».
Quel Papa è Giovanni Paolo II. Esattamente il 13 maggio dell'81, giorno della ricorrenza della prima apparizione di Fatima, era caduto sotto i colpi di un'arma da fuoco, e lui stesso ammetterà che era stata «una mano materna a guidare la traiet­toria della pallottola e il Papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte».
L'evento, come confermerà Lucia, l'unica superstite di Fa­tima, quando nel 2000 sarà svelato il terzo e ultimo segreto, era stato profeticamente «visto», e cioè che un «vescovo vestito di bianco» cadeva a terra colpito a morte. Era il Papa, quel Papa «guerriero» come lo definisce la cantante Mina Mazzini, «con quell'ostinazione che gli fa superare i limiti della macchina umana, con quell'accanimento, quella severità, quelle parole pesanti come massi, quello sguardo tagliente da straniero, quel­la fatica immane, quella leggendaria sopportazione, quell'aria da leone, quella bella faccia da mille Oscar, quella solidità che gli deriva dalle sue certezze, quella testardaggine più forte di mille acciacchi, quella voce che sa ancora pesare sulle parole importanti, quella voglia di sorridere quando c'è festa attorno a lui. Ed è lui il guerriero che ancora una volta, la centesima, tra­scina con i denti il suo corpo in giro per il mondo. Mentre la sua anima lo precede, lo sorvola, lo sostiene. E la sua autorevo­lezza, la sua certezza attrae e respinge. Fa paura, ti augureresti di non incrociare mai i suoi occhi che sono un giudizio univer­sale anticipato. (...) E' lui il profeta che sa, perché ha visto mil­le apocalissi, partendo dai regimi che si sono spartiti la sua ter­ra, mille cilici che in altrettanti luoghi del mondo oltraggiano la dignità dell'uomo, mille piaghe di violenza che hanno segnato il suo corpo...».
La pallottola che ha ferito il Papa è oggi è incastonata co­me una «gemma» nella corona della statua di Maria a Fatima.

Tratto da: Una vita per vincere, biografia di Nicasio Triolo, Città Nuova, Roma 2004, pag 175-176

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