In occasione del terzo anniversario della morte di Chiara Lubich, dietro richiesta di qualcuno dei lettori, racconto come è stato il mio primo incontro con lei. Era l’Epifania del 1967.
Nella hall dell’attuale centro del Movimento dei Focolari c’ero anch’io stipato tra molti che attendevano rumorosi e sorridenti. Improvvisamente il brusio diventa grido di gioia. Un corridoio si apre. Passa Chiara.
Vedo per la prima volta una donna amabile. Il suo sorriso vorrebbe raggiungere tutti. I suoi occhi sono pieni di luce. Cammina senza fretta con un passo posato ed elegante. “Ciao, popi! Ciao!” Dolcissimo appellativo trentino di una madre per i suoi figlioletti.
Quel sorriso, ma soprattutto lo sguardo, provocò in me una specie di timore, come quando da bambino mi ero trovato improvvisamente, inspiegabilmente solo. Dire sguardo è parola imprecisa. È come se lei guardandomi mi facesse capire che ci conoscevamo da sempre. Come se mi riconoscesse, come se mi avesse atteso. La limpidezza di quegli occhi mi rispecchiava. Non avevo nei ricordi nessun paragone per dire se quel fatto avveniva nel tempo, perché il tempo non ci fu. Quando si apre una finestra in una camera buia vedi ciò che prima non avresti potuto immaginare. Le cose tastate al buio ora hanno un volto, un colore, una funzione.
Quel momento fu un evento compiuto e chiuso. Eccomi già oltre un momento atteso senza saperlo. Quegli occhi avevano tracciato in me l’unico sentiero della mia vita, lo stesso sentiero che avevo percorso per arrivare fino a quel punto. Inizio e fine che mirabilmente, inspiegabilmente si fondevano.
Chiara era già andata avanti. Seguii i capelli d’argento che si confondevano con la folla facendo capire che stava salutando l’uno o l’altro. Quell’armonia appena intravista mi sembrò di colpo lontanissima e inspiegabilmente vicina. Il corridoio si era già chiuso dietro di lei e, spinto dalla folla, arrivo fino alla scala che portava nel suo appartemento al piano superiore. Dietro la porta, che si chiuse delicatamente, il canto non si fermò, ripetè più volte il ritornello: "Chi ringraziarti mamma potrà?, chi ringraziarti Chiara potrà?"
Cominciai a cantare anch’io.
Cominciai a cantare anch’io.
Luce t’investe
ora so la bellezza
e scorgo la via
per raggiungerla
Foto mia
Molto bello!
RispondiEliminaSono bellissime tutte queste storie del "primo incontro". C'è qualcosa molto forte che le accomuna (anzi, che ci accomuna)
Grazie!
Marek
In questi giorni mi domando spesso "cosa c'è?". Cosa c'è in me, e più in generale quello che c'è nel mondo. Masaniello ha creato il suo esercito.In un colpo...trovo armonia in una donna.Così da spiegarmi lontanissima e insieme vicina tante voci in cui ritrovarmi.
RispondiEliminaInizio e fine che mirabilmente, inspiegabilmente si fondevano.
Per me è un riempitivo per come voler esserci.
Sono nata a settembre di quell'anno. Facendo i conti sarò stata concepita in quei giorni...
RispondiEliminaMi stanno arrivando tanti commenti non pubblicati. Segno che Chiara Lubich è più che mai viva. Come mi chiede qualcuno, i ricordi che ciascuno può avere di Chiara sono materiale importante per la storia. E' uno stimolo a raccogliere. C'è il centro Chiara Lubich che lavora non solo con competenza ma con il cuore. Ogni carta di Chiara aiuta ad amare, ad essere amore. Stiamo assistendo a un fenomeno sacro che si svela giorno dopo giorno. Grazie comunque a tutti. Tanino
RispondiEliminaDedicata a Chiara Lubich
RispondiEliminaTu
Tu madre,
di tutti;
tu luce,
nel nascondimento;
tu sorriso,
nella sofferenza;
tu via,
nell’unità;
tu concretissima,
nella Parola;
tu musica,
nell’armonia;
tu coraggiosa,
nella verità;
tu dolcissima,
nella mistica;
tu immediata,
nella chiamata;
tu umile,
nell’intelligenza;
tu figlia,
nella Chiesa;
tu grande,
nell’offerta;
tu arcobaleno,
nella fantasia;
tu innamorata,
del solo Amore;
tu prisma ,
davanti al Sole;
tu riflesso e dono
del Signore.
Il piacere della conoscenza di questa poesia: " DEDICATA A CHIARA "
RispondiEliminapenso che i focolarini per loro volontà esprimono un dono.