Insegnavo
nella cattedra d’italianistica nell’ateneo di una città dell’Ungheria allora
comunista. Avevo un collega che occupava una cattedra importante per meriti di
fedeltà all’ideologia imperante. Nell’aula dei professori dell’università mi
ritrovai un giorno a rimuginare una frase che proprio lui mi aveva detto,
abbassando il tono della voce e con un’insolita familiarità: «Sii prudente, non
fare paragoni con l’Italia, non parlare di politica; insomma, tieni presente
che in ogni classe c’è qualcuno che ha il compito di tenerti d’occhio e vedere
se sgarri».
Fu un pugno
allo stomaco che lui, appena uscito, non poté registrare. Sì certo, ero ben
consapevole di trovarmi in quel Paese, con quell’ideologia, ma pensare che
qualcuno degli studenti fosse lì apposta per cogliere qualche parola equivoca,
qualche valutazione che sarebbe potuta sembrare dispregiativa verso il sistema
politico vigente, qualche paragone con il capitalismo italiano...
Perché
temevano che ogni straniero fosse una minaccia al comunismo? E poi cosa avrei
potuto dire contro un certo sistema, parlando dei primi documenti della lingua
italiana? Come denigrare un’ideologia spiegando la storia della grammatica o
parlando della poetica di Dante o Petrarca? Mi venne da ridere nel pensare a
come vedevano l’Occidente quelli dell’Europa orientale. Come se oltre la
cortina di ferro ci fossero la felicità, la libertà. Che dire poi del
consumismo materialista e devastante, del plagio dei mass media, del ruolo di
una televisione che inebetisce? Come dire che anche l’Occidente, nella sua
sazietà, percepiva un senso del nulla come mai era stato prima?
Decisi di
cancellare dalla mia mente l’idea che qualcuno degli alunni potesse avere il
compito di cogliermi in fallo, per non avere la tentazione di indagare chi
potesse essere quel mercenario o quell’idealista che mi aspettava al varco. Un
tale pensiero avrebbe minato il rapporto diretto e semplice che avevo già
instaurato con le varie classi.
Piuttosto
cercai di mettere più attenzione soprattutto quando mi trovai ad affrontare la
classe che mi attendeva. Guardai studente per studente e costatai con gioia che
li stimavo perché vedevo in ognuno un possibile costruttore di un mondo
migliore.
Il mio
sguardo si attardò su una studentessa che io chiamavo “principessa” perché
aveva il nome di una nobile magiara e i tratti delicati di chi vive in una
reggia. Era pensierosa. Alla fine della lezione le chiesi se c’era qualche
problema. Mi disse che il figlioletto era malato e non sapeva a chi affidarlo,
dato che era sola ad educarlo. Venni a sapere di più della sua vita. Le chiesi
se per caso non avesse bisogno di vestiti, giacché mia sorella, con due figli
più grandi del suo, aveva sicuramente dei vestitini superflui da passarle.
Lei non
rifiutò la mia offerta, anzi mi sembrò contenta. Così, dopo qualche tempo,
arrivò la prima valigia di vestiario per il bambino e anche per lei. A quella
ne seguirono altre e ciò che non serviva a lei fu utile per altre due alunne
con bambini piccoli.
Passarono
gli anni e nel 1989 avvenne il giro di valzer per molti Paesi satelliti della
grande Russia che cominciarono a girare con un’altra musica e attorno ad altri
centri gravitazionali. Fu un passaggio senza spargimento di sangue, anche se
doloroso.
Un giorno
stavo pranzando con il preside della facoltà. Parlavamo dell’università, delle
trasformazioni dopo decenni di comunismo, dei nuovi testi da scrivere, della
difficoltà di ripartire su altri binari, quando lui, non privo di amaro
risentimento, accennò a certi colleghi che all’indomani del cambio di bandiera
si dichiaravano anticomunisti convinti, sorpresi se qualcuno li tacciava di
ripugnanti opportunisti. Il suo parlare era carico di sarcasmo e voglia di
sbandierare il gioco dei pupazzi.
Restai di
stucco quando mi rivelò i nomi degli studenti che, come avveniva nelle
fabbriche o in altri luoghi di lavoro, anche all’università avevano il compito
di proteggere le spalle del sistema politico dai non allineati. La mia
principessa era una di loro. La bella e delicata principessa era una spia.
Proprio lei, alla quale avevo dedicato più attenzione!
Pensai fra
me e me che, avendo un bambino e non essendo sposata, aveva bisogno di
guadagnare qualche fiorino. E anche al pericolo che avrei potuto correre: «Se
mi fossi messo alla ricerca della spia, certamente non mi sarei accorto quel
giorno che la principessa era preoccupata!».
Il
professore si accorse che ero in pensiero. Il suo rispettoso silenzio
m’incoraggiò a raccontargli il fatto. «E adesso pensa di andare a leggere negli
archivi cosa ha raccontato la sua fedele alunna?», mi chiese.
«Sento
gratitudine per quella fragile creatura», precisai. Il professore alzò le
sopracciglia e non ebbe da dire più nulla.
Ancora una
volta, nel Grande Gioco della vita, avevo potuto costatare che chi ama ci
azzecca sempre, chi ama è invincibile.
come ogni mattina resto "incantato" e ti dico grazie e ......... fammi la cortesia ringrazia da parte mia il REGISTA.......... Buona giornata Carlo Vetrano
RispondiEliminaCarlo!
RispondiEliminaHo ringraziato il REGISTA!
Ieri sera, mi è venuto in mente di pubblicare questa mia esperienza vissuta tanti anni fa e che ho già pubblicato sia sul blog che come articolo su Città Nuova.
E' anche nel libretto "Chi è Chiara per me".
Il fatto di avere gli occhi aperti e amare sempre me l'ha insegnato Chiara, strumento docile del Regista.
Buona giornata Carlo.
Sono certo, anche perchè me l'hai confermato, che ogni cosa che pubblico è "per" qualcuno.
Grazie!
Tanino