"Siate benevoli gli
uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha
perdonato voi in Cristo" (Ef 4, 32).
Non c’è cosa più bella che sentirsi
dire: “Ti voglio bene”. Quando qualcuno ci vuol bene non ci sentiamo soli,
camminiamo sicuri, possiamo affrontare anche difficoltà e situazioni critiche.
Se poi il volersi bene diventa reciproco la speranza e la fiducia si
rafforzano, ci sentiamo protetti. Tutti sappiamo che i bambini, per crescere
bene, hanno bisogno di essere circondati da un ambiente pieno d’amore, di
qualcuno che voglia loro bene. Ma ciò è vero in ogni età. Per questo la Parola
di vita ci invita ad essere “benevoli” gli uni verso gli altri, ossia a volerci
bene e ci dà come modello Dio stesso.
Proprio il suo esempio ci ricorda
che volersi bene non è un mero sentimento; è un concretissimo ed esigente
“volere il bene dell’altro”. In Gesù egli si è reso vicino agli ammalati e ai
poveri, ha provato compassione per le folle, ha usato misericordia verso i
peccatori, ha perdonato quelli che lo avevano crocifisso.
Anche per noi volere il bene
dell’altro significa ascoltarlo, mostrargli una attenzione sincera,
condividerne le gioie e le prove, prendersi cura di lui, accompagnarlo nel suo
cammino. L’altro non è mai un estraneo, ma un fratello, una sorella che mi
appartiene, di cui voglio mettermi a servizio. Tutto il contrario di quanto
accade quando si percepisce l’altro come un rivale, un concorrente, un nemico,
fino a volere il suo male, fino a schiacciarlo, addirittura a eliminarlo, come
purtroppo ci raccontano le cronache di ogni giorno. Pur non arrivando a tanto
non capita anche a noi di accumulare rancori, diffidenze, ostilità o
semplicemente indifferenza o disinteresse verso persone che ci hanno fatto del
male o antipatiche o che non appartengono alla nostra cerchia sociale?
Volere il bene gli uni degli gli
altri, ci insegna la Parola di vita, significa prendere la strada della
misericordia, pronti a perdonarci ogni volta che sbagliamo. Chiara Lubich
racconta, al riguardo, che agli inizi dell’esperienza della sua nuova comunità
cristiana, per attuare il comando di Gesù, aveva fatto un patto di amore
reciproco con le prime compagne. Eppure, nonostante questo, «specie in un primo
tempo non era sempre facile per un gruppo di ragazze vivere la radicalità
dell’amore. Eravamo persone come le altre, anche se sostenute da un dono
speciale di Dio, e anche fra noi, sui nostri rapporti, poteva posarsi della
polvere, e l’unità poteva illanguidire. Ciò accadeva, ad esempio, quando ci si
accorgeva dei difetti, delle imperfezioni degli altri e li si giudicava, per
cui la corrente d’amore scambievole si raffreddava.
Per reagire a questa situazione
abbiamo pensato un giorno di stringere fra di noi un patto che abbiamo chiamato
“patto di misericordia”. Si decise di vedere ogni mattina il prossimo che
incontravamo – in focolare, a scuola, al lavoro, ecc. –, di vederlo nuovo,
nuovissimo, non ricordandoci affatto dei suoi nei, dei suoi difetti, ma tutto
coprendo con l’amore. Era avvicinare tutti con questa amnistia completa del
nostro cuore, con questo perdono universale. Era un impegno forte, preso da
tutte noi insieme, che aiutava ad essere sempre primi nell’amare a imitazione
di Dio misericordioso, il quale perdona e dimentica»1.
Un patto di misericordia! Non
potrebbe essere questo un modo per crescere nella benevolenza?
Fabio Ciardi
1Chiara Lubich, L’amore al prossimo,
Conversazione con gli amici musulmani, Castel Gandolfo, 1 novembre 2002
Nessun commento:
Posta un commento