sabato 6 maggio 2017

La banalità del male

Hanna Arendt, ebrea fuggita negli Stati Uniti, racconta in questo suo libro-documento, della cattura a Buenos Aires, nel 1960, del gerarca nazista Adolf Eichmann, processato poi a Gerusalemme e condannato a morte il 15 dicembre 1961.
La Arendt, osservando Eichmann, un uomo apparentemente comune e insignificante che aveva compiuto crimini feroci, asserisce che la spietatezza dei suoi delitti non sarebbe dovuta alla sua natura crudele, quanto a incoscienza.
La Arendt non ha dubbi ad affermare che è stata la stessa società a creare tale tipo di criminale: mancanza di idee, non stupido, privo di spirito critico e ubbidiente. Un uomo che vive dei condizionamenti datigli dalla società, o da un capo politico. Un mediocre che vive per inerzia.
Un libro che fa riflettere.
Hannah Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, 2013


2 commenti:

  1. Tanino. grazie di questa tremenda e perfetta analisi che nasce dal libro citato.
    Sì, fa riflettere il fatto che i criminali, come i santi, li creiamo insieme.
    Veramente siamo un corpo sociale e come tale agiamo insieme.
    Ciao, stammi bene,
    Ludovico.

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