“Se qualcuno
vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Gesù è nel
mezzo della sua vita pubblica, nel pieno del suo annuncio che il Regno di Dio è
vicino, e si prepara ad andare a Gerusalemme. I suoi discepoli, che hanno
intuito la grandezza della sua missione ed hanno riconosciuto in lui l’Inviato
di Dio atteso da tutto il popolo di Israele, si aspettano finalmente la
liberazione dalla potenza romana e l’alba di un mondo migliore, portatore di
pace e prosperità.
Ma
Gesù non vuole alimentare queste illusioni; dice chiaramente che il suo viaggio
verso Gerusalemme non lo porterà al trionfo, ma piuttosto al rifiuto, alla
sofferenza ed alla morte; rivela anche che il terzo giorno risorgerà. Parole
difficili da comprendere ed accettare, tanto che Pietro reagisce e mostra di
rifiutare un progetto tanto assurdo; cerca anzi di dissuadere Gesù.
Dopo
un secco rimprovero a Pietro, Gesù si rivolge a tutti i discepoli con un invito
sconvolgente:
“Se qualcuno vuole venire dietro
a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Ma
cosa chiede Gesù ai suoi discepoli di ieri e di oggi, con queste parole? Vuole
che disprezziamo noi stessi? Che ci votiamo tutti ad una vita ascetica? Ci
chiede di cercare la sofferenza per essere più graditi a Dio?
Questa
Parola ci esorta piuttosto ad incamminarci sui passi di Gesù, accogliendo i
valori e le esigenze del Vangelo per assomigliare a Lui sempre di più. E questo
significa vivere con pienezza la vita tutta intera, come ha fatto Lui, anche
quando sul cammino appare l’ombra della croce.
“Se qualcuno
vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Non
possiamo negarlo: ognuno ha la sua croce: il
dolore, nelle sue varie forme, fa parte della vita umana, ma ci appare
incomprensibile, contrario al nostro desiderio di felicità. Eppure è proprio lì
che Gesù ci insegna a scoprire una luce inaspettata. Come avviene quando,
entrando talvolta in alcune chiese, scopriamo quanto meravigliose e luminose
siano le loro vetrate, che dall’esterno apparivano buie e senza bellezza.
Se
vogliamo seguirlo, Gesù ci chiede di fare un completo capovolgimento di valori,
spostando noi stessi dal centro del mondo e rifiutando la logica della ricerca
dell’interesse personale. Ci propone di fare più attenzione alle esigenze degli
altri, che alle nostre; di spendere le nostre energie per far felici gli altri,
come lui, che non ha perso un’occasione per confortare e dare speranza a quelli
che ha incontrato. E con questo cammino di liberazione dall’egoismo può
iniziare per noi una crescita in umanità, una conquista della libertà che
realizza pienamente la nostra personalità.
“Se qualcuno vuole venire dietro
a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Gesù
ci invita ad essere testimoni del vangelo, anche quando questa fedeltà è messa
alla prova dalle piccole o grandi incomprensioni dell’ambiente sociale in cui
viviamo. Gesù è con noi, e ci vuole con Lui in questo giocarci la vita per
l’ideale più ardito: la fraternità universale, la civiltà dell’amore.
Questa
radicalità nell’amore è un’esigenza profonda del cuore umano, come testimoniano
anche personalità di tradizioni religiose non cristiane, che hanno seguito la
voce della coscienza fino in fondo. Scrive Gandhi: “Se qualcuno mi uccidesse e io morissi con una preghiera per il
mio assassino sulle labbra, e il ricordo di Dio e la consapevolezza della sua
viva presenza nel santuario del mio cuore, allora soltanto si potrà dire che ho
la nonviolenza dei forti”.1
Chiara Lubich ha trovato
nel mistero di Gesù crocifisso e abbandonato la medicina per sanare ogni ferita
personale ed ogni disunità tra persone, gruppi e popoli, ed ha condiviso con
tanti questa scoperta. Nel 2007, in occasione di una manifestazione di
Movimenti e Comunità di varie Chiese a Stoccarda, ha scritto:
“Pure ciascuno di noi, nella
vita, soffre dolori almeno un po’ simili ai suoi. ( …) Quando sentiamo (….)
questi dolori, ricordiamoci di lui che li ha fatti propri: sono quasi una sua
presenza, una partecipazione al suo dolore. Facciamo come Gesù, che non è
rimasto impietrito, ma aggiungendo a quel grido le parole: “Padre, nelle tue
mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46), si è riabbandonato al Padre.
Come lui anche noi possiamo
andare al di là del dolore e superare la prova dicendogli: “Amo in essa te,
Gesù abbandonato; amo te, mi ricorda te, è una tua espressione, un tuo volto”.
E, se nel momento seguente ci buttiamo ad amare il fratello e la sorella e ad
attuare ciò che Dio vuole, sperimentiamo, il più delle volte, che il dolore si
trasforma in gioia (…). I piccoli gruppi in cui viviamo (…) possono conoscere
piccole o grandi divisioni. Anche in quel dolore possiamo vedere il Suo volto,
superare quel dolore in noi e far di tutto per ricomporre la fraternità con gli
altri. (…) La cultura della comunione ha come via e modello Gesù crocifisso e
abbandonato.” 2
Letizia Magri
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1
M.K. Gandhi, Antiche come le montagne,
Ed. di Comunità, Milano 1965, pp. 95-96.
2 C. Lubich, Per una cultura di comunione – Incontro Internazionale “Insieme per l’Europa” – Stoccarda, 12 maggio 2007 – sito web http://www.together4europe.org/
2 C. Lubich, Per una cultura di comunione – Incontro Internazionale “Insieme per l’Europa” – Stoccarda, 12 maggio 2007 – sito web http://www.together4europe.org/
Grazie.
RispondiEliminaUn commento per ritrovarci uniti su una parola piena della vita di Gesù. Piena è la nostra vita se doniamo a Gesù questa nostra esistenza. Crediamo che questa sia superiore a tutto quello che noi affrontiamo e a volte ci facciamo dei problemi.
L'abbandono a rinnegare il proprio per un di più che contempla anche la croce.
Vorrei tanto seguire la mia croce. Mi identifico in Gesù. Mi identifico con i miei limiti.Mi identifico nella comunione con la società. E allora cerco di vivere la vita della Chiesa con responsabilità e amore.
GENNARO