sabato 26 novembre 2016

Insomma

Giorni fa è morta un'amica, Camilla, che molto mi ha incoraggiato per le mie pubblicazioni. Non era soltanto una lettrice ma una donna, che grazia ad una grande esperienza sapeva valorizzare un piccolo germoglio sostenendolo e nutrendolo fino a diventare albero. 
Pubblico una pagina del blog già pubblicata, che lei amava ricordare:


Non ricordo esattamente quanti anni avessi. Ero sicuramente molto piccolo, nell’età dei mille perché. Ed uno dei miei “perché” era: “Perché Peppe non parla?”. “Perché è sordomuto” rispondevano i grandi.
“E perché è sordomuto?”.
Peppe veniva quasi tutti i giorni da noi. Era povero, solo. Gli davamo da mangiare. Il fatto che fosse sordomuto non mi spiegava nulla. Volevo saperne di più.
Assieme a mio fratello, di poco più grande di me, trovammo la spiegazione giusta: “Peppe non parla perché ha finito tutte le sue parole”.
Ricordo che da quel giorno fui preso dalla nascosta paura di consumare tutte le mie parole. Da un momento all’altro anche le mie parole sarebbero finite, proprio come finisce un gelato.
Così con mio fratello decidemmo di conservarci più parole possibili fino a che non saremmo diventati grandi. I grandi, infatti, non hanno problemi. Parlano, parlano, parlano e non hanno paura che le loro parole finiscano.
E io vedevo che di parole i grandi ne avevano tante. E avevano parole difficili, anzi difficilissime. Mio padre, per esempio, quando parlava diceva spesso insomma. Io non sapevo cosa fosse quella parola. Non era un tavolo, non era un oggetto da me conosciuto. Era una parola che solo i grandi potevano dire.
E mi dicevo: “Anch’io da grande potrò dire insomma tutte le volte che ne avrò voglia!”.
E sognavo il giorno in cui finalmente avrei potuto dire: insomma!

2 commenti:

  1. Deliziosa storia. Un ricordo che è un poema.
    Grazie, Tanino.
    Evviva Camilla che ti incoraggiava!
    Anna

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  2. Non è nuova per ma ... ma è sempre nuova.
    Ciao, Alfredo

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