Fonte: Città Nuova editrice
Ha senso lasciarsi guidare da un regista del quale non hai mai visto il volto?
Il racconto di una delle mie esperienze di vita raccontate nel libro edito da Città Nuova "Regista invisibile".
Domenica mattina. Con Dominique siamo alla fermata di un bus che ci porterà a una località turistica.
Attira la mia attenzione una casetta color senape con un piccolo pergolato. Vi sto passando davanti per l’ennesima volta. Evidentemente risale ad altri tempi, quando c’era campagna. Il cancelletto è socchiuso. Non so spiegarmi perché, mi sento spinto a entrare. La piccola anticamera al buio mi conduce a una stanza illuminata da un abat-jour. La stessa luce mi mostra un braccio pallido che esce da una manica di pigiama a righe grigio-celeste, alla mia sinistra.
Un uomo su un letto, con la testa leggermente affondata su due cuscini, è pallidissimo. Mi guarda. Lo guardo. Silenzio senza confini. Non so quanto tempo passa e se passa. Con un gesto delicato abbasso le sue palpebre. Quasi mi dispiace chiudere quegli occhi che non fanno resistenza al mio gesto. Stringo la mano sinistra. Fredda, rigidamente fredda.
Attorno tace tutto. Con una vita che finisce anche le cose che l’hanno colorata perdono significato. Non so definire il caleidoscopio di sentimenti che giocano in me: commiserazione, spavento, stupore, assieme a un’avvolgente calda pace. Quella mano verso il comodino cercava aiuto? Torno sulla strada in cerca di Dominique che gironzola in attesa del bus.
«Cosa facciamo?».
«Chiamiamo il pronto soccorso, la polizia…».
Quando arrivano i poliziotti, inizia una serie di domande. Non a tutte so rispondere. Anzi, più quei volti senza mimica moltiplicano le domande, più si allontanano da me. Lentamente diventano avversi, forse perché mi stanno trattando da nemico.
Su una sedia di formica rossa attendo di essere chiamato. In una stanza del commissariato vengono letti alcuni documenti presi in quella casa. Un pensionato solitario che ha un figlio negli Stati Uniti, una figlia da qualche parte in Europa. Un’ex moglie chissà dove. Aveva fatto una discreta carriera in una banca e si dilettava a scrivere racconti per una rivista di piccola tiratura. Niente di rilevante. Una vita senza colore, dicono.
Le domande, le stesse, fatte da nuove voci, mi riconducono davanti a quel cancelletto, sotto il pergolato. La porta socchiusa. Entro, seguo la luce, vedo un braccio, dove? in basso alla mia sinistra quasi a toccare un comodino illuminato, poi due occhi che mi guardano senza vedermi, un volto bianco, un immenso silenzio. Sul comodino, ora che ci penso, risplendono due foto. Un ragazzo sorridente con un grosso pesce appena pescato. Una ragazza intensamente seria che suona al pianoforte. Davanti alle foto, un’agenda. Una penna.
Non so quanto tempo sia passato. Nel pomeriggio torno alla casa dello studente. Per certi insospettabili sentieri del pensiero, arrivo al punto di sentirmi vicino a quello sconosciuto. Sto pregando per lui, oppure sto invocando lui. Non so. Ritorna la sequenza, entro in quel silenzio della stanza appena illuminata dal paralume del comodino. Ai funerali incontro il figlio Giovanni, che vive a New York, e Vanessa che fa uno stage a Berlino. Gente alla mano. Giovanni ha il naso del padre. Vanessa ha le mani affusolate. Ma non solo perché è pianista.
Mi parlano del padre. Da quando era andato in pensione, passava il tempo a curare quel piccolissimo pezzo di terra davanti e attorno alla casa, qualche breve viaggio da parenti o conoscenti e lettere frequenti ai figli, cariche di notizie e informazioni. Non si era mai voluto trasferire da quella casa dove lui e i figli erano nati. Mandava a Vanessa tutto quello che risparmiava e i regali che riceveva dal figlio più benestante. A Giovanni forniva ami da pesca e libri. Della madre nessuna notizia in particolare. Un matrimonio naufragato di cui il padre non parlava e non dava a pensare che fosse una cosa negativa. Giovanni e Vanessa mi dicevano concordi quanto fossero meravigliati di come il padre non avesse avuto da ridire sulla madre, mentre lei continuava a trovare nuovi motivi per giustificare la sua fuga dalla famiglia.
Giovanni ha in mano l’agenda che avevo visto sul comodino. La pagina segnata da una cartolina che gli aveva spedito proprio lui è l’ultima pagina scritta:
«La vita educa all’amore. Vostra madre mi ha maturato alla paternità e da quel momento non sono stato più quello di prima. Anche lei ha raggiunto il livello della maternità. Non ha retto, però, al suo peso. La maternità è un dono troppo pesante. Pesa, ma è dono. Non ho saputo aiutarla? Da tempo non me lo chiedo più. Rifarmi un’altra famiglia? Vi avrei privati di un vostro diritto. E poi avrei interrotto la lezione che mi state facendo sull’amore. Sembra che siano i genitori a dare la vita ai figli. Siete voi figli che ci portate avanti. Il viaggio nell’amore non finisce mai. Quante volte ho disperso questo dono!
Quando sei nato tu, Giovanni, non finivo di guardarti e stupirmi. La tua innocente fragilità mi ripeteva una tremenda immutabile meravigliosa verità: “Ormai non ti appartieni più. La tua vita sono io. La tua felicità è nella mia felicità!”.
Poi sei arrivata tu, Vanessa. Una sera ti eri addormentata fra le mie braccia e guardavo il cielo stellato. Ascoltavo il tuo piccolo respiro che sembrava mi sussurrasse: “Ogni notte ti accendo una stella in cielo”. Siate felici, come lo sono io. Papà».
Giovanni sta piangendo. Vanessa è presa da uno stupore mescolato a commozione. Gioisco anch’io di un ineffabile dono. In loro rivedo quegli occhi che una settimana fa mi hanno guardato. Sì, mi hanno guardato e c’era anche una lacrima.
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Stavo leggendo questa frase:
RispondiElimina"Le coincidenze sono il modo in cui Dio opera mantenendo l'anonimato."
(A. Einstein)
Buona festa dell'Assunta a tutti!
Riesci sempre a farmi commuovere, caro Tanino ...
RispondiEliminaMa non è puro sentimentalismo, piuttosto commuovermi e stupirmi davanti alle idee geniali di questo famoso Regista ...
sono capitato nel tuo blog. scrivi da qualche parte che la "fede è occhi". Vorrei vedere... e ciò penso significhi avere le chiavi della vita. grazie, attenderei un tuo pensiero. Giuseppe J.
RispondiEliminaGiuseppe, ti rispondo sul blog. ciao! Tanino
RispondiEliminagrazie a 'genio femminile' per la frase di Einstein!!!
RispondiEliminaMi trovo assolutamente d'accordo con lui: e siamo ancora alle prese con il regista invisibile, no?
È sempre bello ... rileggerla.
RispondiEliminaBuona giornata.
Francesco.
IL MOSTRO DELLE COSE
RispondiElimina…ogni notte può definirsi l’ultima
e ogni mattino può durare il tempo dello scoppio delle menti…
All’interno
Orecchi in cerca di commenti
Che costituiscono
Le nostre e il mostro delle cose
I maglioni che ci vanno stretti
Le idee sparite, sepolte
E il Giuda in noi-
Canali digitali
Con tranci di carne vinta
Piccoli uomini
Al limite
Al contrario
E impazienti del sistema-
Supposizioni
Concettuali contenute in uno zaino imposto
E viuzze
Isteriche di rivoltosi:
Crisi, crisi è il mostro delle cose
Che da alte siepi
Scaglia il bambino del futuro per terra
E gli sfila la coscienza!
Il giardino è formato
Il labirinto
È uno sgabello della nostra anima
Corridoi
Di chilometri dove tutto è perduto
Stanze
Per scomparire con il tuo pensiero
E canali digitali
Intricati nella loro ricerca indigesta
Di un sintomo corrotto-
Fiancheggio
Una stella bassa
Le mie parole sono brucianti come braci
E all’interno
In lontananza…
Sono un cielo color cenere-
©2010 Maurizio Spagna
e il giro del mondo poetico-
www.ilrotoversi.com