giovedì 1 maggio 2025

Parola di Vita - Maggio 2025


 «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17).

L’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni ci porta in Galilea, sul lago di Tiberiade. Pietro, Giovanni ed altri discepoli, dopo la morte di Gesù, sono tornati al loro lavoro di pescatori, ma purtroppo la notte è stata infruttuosa.

Il Risorto si manifesta lì, per la terza volta, li esorta a gettare nuovamente le reti e questa volta raccolgono tanti pesci. Poi li invita a condividere il cibo sulla riva. Pietro e gli altri lo hanno riconosciuto, ma non osano rivolgergli la parola.

Gesù prende l’iniziativa e si rivolge a Pietro, con una domanda molto impegnativa: “Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Il momento è solenne: per tre volte Gesù rinnova la chiamata di Pietro (1) a prendersi cura delle sue pecore, di cui Egli stesso è il Pastore (2).

«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».

Ma Pietro sa di aver tradito e questa tragica esperienza non gli permette di rispondere positivamente alla domanda di Gesù. Risponde con umiltà: “Tu sai che ti voglio bene”.

Durante tutto il dialogo, Gesù non rinfaccia a Pietro il tradimento, non si dilunga a sottolineare l’errore. Lo raggiunge sul piano delle sue possibilità, lo porta dentro la sua dolorosa ferita, per sanarla con la sua amicizia. L’unica cosa che chiede è di ricostruire il rapporto nella fiducia reciproca.

E da Pietro sgorga una risposta che è un atto di consapevolezza della propria debolezza e, allo stesso tempo, di fiducia illimitata nell’amore accogliente del suo Maestro e Signore:

«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».

Anche a ciascuno di noi Gesù fa la stessa domanda: mi ami? Vuoi essere mio amico? Egli sa tutto: conosce i doni che abbiamo ricevuto da Lui stesso, come pure le nostre debolezze e ferite, a volte sanguinanti. Eppure rinnova la sua fiducia, non nelle nostre forze, ma nell’amicizia con Lui. In questa amicizia, Pietro troverà anche il coraggio di testimoniare l’amore per Gesù fino al dono della vita.

«Momenti di debolezza, di frustrazione, di scoraggiamento li passiamo tutti: […] avversità, situazioni dolorose, malattie, morti, prove interiori, incomprensioni, tentazioni, fallimenti […]. Proprio chi si sente incapace di superare certe prove che si abbattono sul fisico e sull’anima, e perciò non può far calcolo sulle sue forze, è messo in condizione di fidarsi di Dio. E Lui interviene, attirato da questa confidenza. Dove Lui agisce, opera cose grandi, che appaiono più grandi, proprio perché scaturiscono dalla nostra piccolezza» (3).

Nella quotidianità possiamo presentarci a Dio così come siamo e chiedere la sua amicizia che risana. In questo abbandono fiducioso alla sua misericordia potremo tornare nell’intimità con il Signore e riprendere il cammino con Lui.

«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».

Questa Parola di vita può diventare anche preghiera personale, la nostra risposta per affidarci a Dio con le nostre poche forze e ringraziarlo per i segni del suo amore:

«[…] Ti voglio bene perché sei entrato nella mia vita più dell’aria nei miei polmoni, più del sangue nelle mie vene. Sei entrato dove nessuno poteva entrare, quando nessuno poteva aiutarmi, ogniqualvolta nessuno poteva consolarmi. […] Dammi d’esserti grata – almeno un po’ – nel tempo che mi rimane, di questo amore che hai versato su di me, e m’ha costretta a dirti: Ti voglio bene.» (4).

Anche nei nostri rapporti in famiglia, nella società e nella chiesa, possiamo imparare lo stile di Gesù: amare tutti, amare per primi, “lavare i piedi”5 ai nostri fratelli, soprattutto i più piccoli e fragili. Impareremo ad accogliere ognuno con umiltà e pazienza, senza giudicare, aperti a chiedere e accogliere il perdono, per comprendere insieme come camminare fianco a fianco nella vita.

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di Vita

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1 Cf. Mt 16,18-19. – 2 Gv 10,14. – 3 C. Lubich, Parola di Vita luglio 2000, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma, 2017, p. 629. – 4 Gratitudine, in C. Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori 2001, p. 176. – 5 Cf. Gv 13,14.

 

 

 

lunedì 21 aprile 2025

Papa Francesco... non è un giorno come gli altri


Non è un giorno come gli altri. 

La morte di papa Francesco sigilla le sue parole, le sue implorazioni per la pace, il richiamo dell'attenzione da rivolgere ai poveri, la ricerca dell'essenzialità oltre le abitudini e le convenzioni...

Ho pianto all'annuncio della sua morte. Ho pianto un'altra volta alla morte di un papa: Giovanni XXIII. Non me lo spiego e non è necessaria una spiegazione. 

Ascolteremo ora le sue parole?

La foto che vedete l'ho scattata mentre in TV si svolgeva la sua preghiera durante il covid. Si sono sovrapposte delle immagini... e il Crocifisso è quello che abbiamo visto ieri, giorno di Pasqua, mentre scendeva su ciascuno di noi la sua benedizione. 

Non è un giorno come gli altri giorni.

sabato 19 aprile 2025

Chiara M. con il suo dono di Pasqua

 

Carissimi

 

ho solo la forza di dirvi

 

NON MOLLATE

 

Anche se tutto intorno urla

 

 Anche se tutto intorno cade a pezzi

 

Anche se tutto intorno è disperazione

 

Anche se c'è un tritacarne impazzito che inghiotte senza sosta tutto quello che trova sulla sua strada

 

Anche se ci sentiamo piccole formiche impazzite senza una guida

 

Anche se la terra e intrisa di sangue innocente 

 

Anche se sembra che il buio inghiotta tutto.  

 

NON MOLLATE

 

Ve lo dico per esperienza 

 

Davanti a questo scenario apocalittico, a questa vastità del MALE

torniamo al nostro ' piccolo'

Guardiamoci attorno 

 

La domanda frequente è questa:

Cosa posso fare io?

 

Non possiamo cambiare il mondo da soli. L'angoscia ci assale

Torniamo indietro alle piccole cose

Riprendiamoci la vita

 

Cominciamo a salutare, guardando negli occhi l'altro 

 

Prendiamoci il lusso di mangiare senza tenere gli occhi sul cellulare o sulla TV

Parliamo… e reimpariamo ad ascoltare con interesse quello che l'altro sta dicendo senza pensare già subito a cosa rispondere

C'è sempre qualcosa che potrà stupirci

 

Cerchiamo di sorridere anche lo troviamo assurdo, perché... non c'è niente da sorridere, scherziamo?

 

 Dobbiamo ricordarci però che a qualcuno può fare un grande bene, soprattutto se

rivolto agli ultimi, gli scartati, gli invisibili...

 

Incontrare qualcuno la mattina che sorride proprio a te, che inconsapevolmente ti fa una gentilezza, una mano sulla spalla, un gesto piccolissimo che porta via poco tempo, fatto col cuore, un piccolo contatto umano che da calore, e può fare a cambiare l'intera giornata, non solo a chi lo riceve ma anche a chi lo fa

 

Ti fa dire: dai forza, almeno per oggi, in questo presente, mi sono sentito riconosciuto come persona. Esisto!

 

Nonostante lo strazio della Terra, guardiamo quello che ancora rimane 

La bellezza di un cielo azzurro, di un sole che illumina di un uccellino che riesce ancora a cantare

 

Una piccola piantina che vedi crescere in un vaso in casa o su un poggiolo.

 

Non sempre è possibile trovarsi in un bosco, in cima ad una montagna altissima, poter aprire le braccia e sentirsi liberi

 

Ma cogliamo ugualmente la forza della vita che non si ferma mai 

Anche in un una foglia caduta, in un filo d'erba delicato che spunta dall'asfalto, in un fiore che arrampica sulle crepe di una casa

Ognuno di noi vive situazioni diverse, in luoghi diversi, con persone diverse 

Ognuno può trovare scoprire ma soprattutto cercare, la propria dimensione.

Ci sono piccoli punti luce anche vicino a noi, che stanno avanzando, in questo buio che sovrasta.

Cerchiamoli, troviamoli, uniamoli 

 

La Luce mangerà il Buio

 

Riprendiamoci la Luce dentro e fuori di noi

 

La vittoria finale sarà il BENE

 

Non sarà subito e purtroppo altri pagheranno ancora un prezzo altissimo

Ma noi NON smettiamo di

CREDERCI

 

RIPRENDIAMOCI LA VITA!

 

Vi abbraccio con tutto il mio cuore

 

Chiara M.

sabato 1 marzo 2025

Parola di Vita - Marzo 2025


 «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Lc 6,41).

Disceso dalla montagna, dopo una notte di preghiera, Gesù sceglie i suoi apostoli. Giunto in un luogo pianeggiante rivolge loro un lungo discorso che inizia con la proclamazione delle Beatitudini.

Nel testo di Luca, a differenza del vangelo di Matteo, esse sono solo quattro e riguardano i poveri, gli affamati, i sofferenti e gli afflitti, con l’aggiunta di altrettanti ammonimenti contro i ricchi, i sazi e gli arroganti (1).

Di questa predilezione di Dio nei confronti degli ultimi, Gesù ne fa la sua missione quando, nella sinagoga di Nazareth (2), afferma di essere pieno dello Spirito del Signore e di portare ai poveri il lieto annuncio, la liberazione ai prigionieri e la libertà agli oppressi.

Gesù continua esortando i discepoli ad amare perfino i nemici (3); messaggio che trova la sua motivazione ultima nel comportamento del Padre celeste: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6, 36).

Tale affermazione è anche il punto di partenza di quanto segue: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (Lc 6, 37). Poi Gesù ammonisce tramite un’immagine volutamente sproporzionata:

«Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?».

Gesù conosce veramente il nostro cuore. Quante volte nella vita di ogni giorno facciamo questa triste esperienza: è facile criticare – anche con rigore – in un fratello o in una sorella errori e debolezze senza tenere conto che, così facendo, ci attribuiamo una prerogativa che appartiene a Dio solo.

Il fatto è che per “toglierci la trave” del nostro occhio ci occorre quell’umiltà che nasce dalla consapevolezza di essere peccatori continuamente bisognosi del perdono di Dio. Solo chi ha il coraggio di accorgersi della propria “trave”, di ciò di cui ha personalmente bisogno per convertirsi, potrà comprendere senza giudicare, senza esagerare, le fragilità e le debolezze proprie e degli altri.

Tuttavia, Gesù non invita a chiudere gli occhi e a lasciar correre le cose. Lui vuole che i suoi seguaci si aiutino vicendevolmente nel progredire sulla via di una vita nuova. Anche l’apostolo Paolo chiede con insistenza di preoccuparsi degli altri: di correggere gli indisciplinati, di confortare i pusillanimi, di sostenere i deboli, di essere pazienti con tutti (4). Solo l’amore è capace di un simile servizio.

«Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?».

Come mettere in pratica questa parola di vita? Oltre a quanto già detto, cominciando da questo tempo di Quaresima possiamo chiedere a Gesù d’insegnarci a vedere gli altri come li vede lui, come li vede Dio. E Dio vede con gli occhi del cuore perché il Suo è uno sguardo d’amore. Poi, per aiutarci reciprocamente potremmo ripristinare una pratica che fu determinante per il primo gruppo di ragazze dei Focolari a Trento.

«Agli inizi – così Chiara Lubich ad un gruppo di amici musulmani – non era sempre facile vivere la radicalità dell’amore. […] Anche fra noi, sui nostri rapporti, poteva posarsi la polvere, e l’unità poteva illanguidire. Ciò accadeva, ad esempio, quando ci si accorgeva dei difetti, delle imperfezioni degli altri e li si giudicava, per cui la corrente d’amore scambievole si raffreddava. Per reagire a questa situazione abbiamo pensato un giorno di stringere un patto fra noi e lo abbiamo chiamato “patto di misericordia”. Si decise di vedere ogni mattina il prossimo che incontravamo – a casa, a scuola, al lavoro, ecc. – nuovo, non ricordandoci affatto dei suoi difetti ma tutto coprendo con l’amore. […] Era un impegno forte, preso da tutte noi insieme, che aiutava ad essere sempre primi nell’amare, a imitazione di Dio misericordioso, il quale perdona e dimentica» (5).

A cura di Augusto Parody Reyes e del team della Parola di Vita

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1) Cf. Lc 6, 20-26. 2) Cf. Lc 4, 16-21. 3) Cf. Lc 6, 27-35 4) Cf. 1 Ts 5, 14. 5) C. Lubich, L’amore al prossimo, Conversazione con gli amici musulmani, Castel Gandolfo, 1° novembre 2002. Cf. C. Lubich, L’Amore reciproco, Città Nuova, Roma 2013, pp. 89-90.

sabato 1 febbraio 2025

Parola di Vita - Febbraio 2025

 

«Vagliate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1 Ts 5, 21).

La parola di questo mese è tratta da una serie di raccomandazioni finali che l’apostolo Paolo fa alla comunità dei Tessalonicesi: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male» (1).

Profezia e discernimento, dialogo e ascolto. Queste le indicazioni di Paolo alla comunità che aveva da poco intrapreso il cammino di fede. Tra i vari doni dello Spirito, Paolo stimava molto quello della profezia (2). Il profeta non è colui che prevede il futuro ma piuttosto chi ha il dono di vedere e capire la storia personale e collettiva dal punto di vista di Dio.

Ma tutti i doni sono guidati dal dono più grande, la carità, l’amore fraterno (3). Agostino di Ippona afferma che solo la carità permette di discernere l’atteggiamento da assumere davanti alle varie situazioni (4).

«Vagliate ogni cosa, tenete ciò che è buono».

Occorre essere in grado di guardare non soltanto ai doni personali ma anche alle tante potenzialità e complessità di vedute e opinioni che si aprono davanti a noi in coloro che ci stanno accanto e con i quali ci confrontiamo, magari in persone che incontriamo per caso. È importante con tutti mantenere l’autenticità nel cuore e anche avere la coscienza del limite del nostro punto di vista.

Questa parola di vita potrebbe essere un motto da adottare in ogni situazione di dialogo e di confronto. Ascoltare l’altro, non necessariamente per accettare tutto ma sapendo che è possibile trovare qualcosa di buono in quello che dice, favorisce un’apertura mentale e del cuore. È fare il vuoto dentro noi stessi per amore e avere così la possibilità di costruire qualcosa insieme.

«Vagliate ogni cosa, tenete ciò che è buono».

Padre Timothy Radcliffe, uno dei teologi presenti al Sinodo dei Vescovi della Chiesa cattolica, ha affermato che «la cosa più coraggiosa che possiamo fare in questo sinodo è essere sinceri tra di noi riguardo ai nostri dubbi e alle nostre domande, quelle per le quali non abbiamo risposte chiare. Allora ci avvicineremo come compagni di ricerca, mendicanti della verità» (5).

In una conversazione con alcuni focolarini, Margaret Karram ha così commentato questa riflessione: «Pensandoci, mi sono resa conto, che tante volte non ho avuto il coraggio di dire veramente quello che pensavo: forse per timore di non essere capita, forse per non dire qualcosa completamente diverso dall’opinione della maggioranza. Ho capito che, essere ‘mendicanti della verità’ significa avere quell’atteggiamento di prossimità, gli uni verso gli altri, in cui vogliamo tutti quello che Dio vuole, in cui tutti insieme cerchiamo il bene» (6).

«Vagliate ogni cosa, tenete ciò che è buono».

È l’esperienza di Antía che partecipa al gruppo di arti performative Mosaico, nato in Spagna nel 2017 come Gen Rosso Local Project. Esso è composto da giovani spagnoli che offrono attraverso la loro arte e i loro laboratori la propria esperienza di fraternità. Antía ci racconta: «È il collegamento con i miei valori: un mondo fraterno, nel quale ciascuno (giovanissimi, inesperti, vulnerabili…) dona il proprio contributo a questo progetto. Mosaico mi fa credere che un mondo più unito non è un’utopia, nonostante le difficoltà e il duro lavoro che comporta. Sono cresciuta lavorando in gruppo, con un dialogo a volte che può sembrare troppo schietto e spesso rinunciando alle mie idee che consideravo le migliori. E il risultato è che “il bene” è costruito pezzo per pezzo insieme, da tutti noi» (7).

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di Vita

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1)  1 Ts 5, 19-22. 2)  Cf. Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 24.06.1992, n.7. 3)  Cf. 1 Cor 13. 4) Cf. Agostino di Ippona, Ep. Jo. 7, 8 5) Padre Timothy Radcliffe, Meditazione n. 3, Amicizia, Sinodo dei Vescovi, Sacrofano, 2.10.2023. 6) Conversazione con i focolarini, Margaret Karram, Presidente del Movimento dei focolari, Rocca di Papa, 3.02.2024. 7) Mosaico GRLP aderisce al progetto Forti senza violenza, che si basa sul portare in nuove città laboratori multidisciplinari con i giovani durante tre giorni cercando di trasmettere i valori di non-violenza, pace e dialogo attraverso l’arte.

sabato 18 gennaio 2025

Agrigento capitale italiana della cultura

 


Da Budapest, dove ora mi trovo, ho seguito la cerimonia di apertura di "Agrigento capitale italiana della cultura". 

Cosa può dire un giurgintanu (agrigentino) figlio di quella terra? Ho girato molti paesi e sempre ho avuto come termine di paragone la mia amatissima Giurgenti con i suoi ardenti colori, con i suoi inconfondibili odori, con lo spazio aperto all'infinito... Ricordo che da bambino, quando mi è capitato di andare in altre città, mi chiedevo dove fossero i templi. Sì, perché per me i templi facevano parte integrante della città, di ogni città...

Quando poi al liceo classico "Empedocle" scoprivo che certe parole che usavo avevano origine nel greco, provavo la stessa sorpresa di quando nelle scuole medie, studiando francese, mi meravigliavo di incontrare parole che usava mia nonna, o che certe consonanti, inesistenti nella lingua italiana, erano arabe e che i cognomi erano spagnoli. 

Stamattina i vari relatori ricordavano non solo Empedocle del tempo che la città irradiava la cultura greca, ma anche i più recenti Sciascia, Pirandello e Camilleri. Se Pirandello e Sciascia, da angoli diversi hanno descritto il carattere degli agrigentini, Camilleri ha saputo usare una super-lingua che è memoria greca, spagnola, araba... 

Il presidente Sergio Mattarella diceva che essere fedeli alla propria storia significa costruire il futuro e legava a questo futuro la responsabilità di tutti. Anche io mi sento investito da tale accorato suggerimento carico di speranza. 

Guardando i bambini che sventolavano bandiere tricolore cercavo di indovinare di chi fossero figli o nipoti. Volti felici ai quali auguro un futuro bello come la nostra città e come la natura che spera e rinasce sempre. 

La foto di Tommaso Manzi lascia intravedere il tempio della Concordia dietro un'opera dello scultore polacco Igor Mitoraj

sabato 21 dicembre 2024

Accorati auguri di Chiara M.

Carissimi, Il mondo fuori è, oltre a una gran baraonda, anche una grande tragedia. Guardo intorno a me, ma soprattutto, dentro di me. Credo di avere una discreta esperienza di fede maturata negli anni, eppure ci sono dei momenti in cui domando a me stessa: «Come fai a dire a qualcuno di crederci ancora?». «Come fai quando sembra vincere chi urla di più, chi fa il duro, il bullo, il prepotente, il violento, il più forte che distrugge tutto attorno a sé quando passa?». «Cosa si può rispondere quando ti chiedono: “Perché muoiono sempre i migliori, quelli che potevano cambiare il mondo in meglio e i peggiori che cambiano le sorti del mondo sconvolgendolo, non muoiono mai?”». «O comunque, sembrano avere un potere illimitato di moltiplicare il male per tutta la durata della loro vita?». «Perché milioni di bambini innocenti che chiedono solo di vivere, giocare, sorridere, farti credere e sperare ancora nel bello dell’innocenza, non hanno più neppure le lacrime per piangere?». Potrei andare avanti per ore, ma sono cose risapute, sotto gli occhi di tutti che, alla fine, lasciano il tempo che trovano. Mi sento addosso una sensazione di delusione, amarezza, impotenza, frustrazione; come se avessi davanti un muro di gomma che rimanda al mittente ogni tentativo di cambiare le cose in meglio. Sento prepotente che è 'questo' il momento in cui bisogna tenere duro, non mollare. Il demonio, re del male, che si insinua dappertutto nelle crepe di noi umani, cerca di demolirmi per sfinimento. È in 'questa' situazione che devo dirmi: «NO!». Mi ricordo che LUI ha detto: “IO HO VINTO IL MONDO” Dio non bara. MAI! Non dà il cioccolatino di una consolazione passeggera. Lo fa di sicuro. Quando? Vorremmo subito, in fretta, siamo alla frutta, non ne possiamo più. Ma ci lascia liberi anche di arrivare ai confini dell’orrore, con agnelli sacrificali che ogni giorno muoiono a migliaia nel mondo. Dio non può volere questo. Lui ama. Per questo rinnova sempre l'annuncio del suo arrivo. Ogni anno Lui ritorna e ci dice che “NULLA È IMPOSSIBILE A DIO” Faccio fatica? Sì, tanta. Ma più con la volontà che col sentimento, mi dico e Gli dico: «Si, voglio crederci ancora». Ma non posso farlo da sola. È l'unione che fa la forza. Siamo tanti a volere questo. Uniamoci, cominciando con piccolissime cose. Un gesto gentile, un saluto diverso, un farsi prossimo a chi soffre e nella semplicità, far sentire che ci sei, che, magari, non capisci fino in fondo il suo dolore perché non l'hai provato, ma che sei lì, solo, come calice che accoglie le parole che vuole dirmi o solo i suoi silenzi, senza giudicare. E poi saranno le orecchie del cuore che suggeriranno di volta in volta cosa fate. Così allenate, faranno risentire il respiro dell'uomo che rinasce, della terra che si rigenera. Ma l'importante è UNIRSI. Farlo INSIEME. Vi auguro che questo Natale porti il “sollievo” e l'Anno Nuovo tanta speranza e pace. TANTISSIMI AUGURI!!! Un abbraccio a tutti e... GRAZIE sempre del vostro esserci. Chiara

domenica 1 dicembre 2024

Parola di Vita - Dicembre 2024

«Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). Siamo al racconto dell’Annunciazione. L’angelo Gabriele si reca da Maria di Nazaret per farle conoscere i piani di Dio su di lei: concepirà e darà alla luce un figlio, Gesù, che «sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo» (1). L’episodio si colloca in continuità con altri eventi dell’Antico Testamento che hanno portato, in donne sterili o molto anziane, a nascite prodigiose i cui figli avrebbero dovuto svolgere un compito importante nella storia della salvezza. Qui, Maria, pur volendo aderire in piena libertà alla missione di diventare la madre del Messia, si domanda come potrà succedere, essendo lei una vergine. Gabriele le garantisce che non sarà opera di uomo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra»(2). E aggiunge: «Nulla è impossibile a Dio»(3). «Nulla è impossibile a Dio». Questa rassicurazione, che sta a significare che nessuna dichiarazione o promessa di Dio rimarrà inadempiuta – perché non c’è niente di impossibile per lui – può anche essere formulata in questo modo: nulla è impossibile con Dio. Infatti, la sfumatura del testo greco “con, o vicino, o insieme a Dio”, mette in luce la sua vicinanza all’uomo. È all’essere umano o agli esseri umani che, quando sono insieme a Dio e liberamente aderiscono a lui, nulla è impossibile. «Nulla è impossibile a Dio». Come mettere in pratica questa parola di vita? Innanzitutto, credendo con grande confidenza che Dio può agire anche dentro e al di là dei nostri limiti e debolezze, come pure nelle condizioni più oscure della vita. È stata l’esperienza di Dietrich Bonhoeffer che durante la prigionia che lo condurrà al supplizio, scriveva: «Dobbiamo immergerci sempre di nuovo nel vivere, parlare, agire, soffrire e morire di Gesù per riconoscere ciò che Dio promette e adempie. È certo […] che per noi non esiste più niente di impossibile, perché nulla di impossibile esiste per Dio; […] è certo che noi non dobbiamo pretendere nulla e che tuttavia possiamo chiedere ogni cosa; è certo che nella sofferenza è nascosta la nostra gioia e nella morte la nostra vita… A tutto questo Dio ha detto “sì” ed “amen” in Cristo. Questo “sì” e questo “amen” sono il solido terreno sul quale noi stiamo»(4). «Nulla è impossibile a Dio». Nel cercare di superare l’apparente “impossibile” delle nostre insufficienze, per raggiungere il “possibile” di una vita coerente, un ruolo determinante lo svolge la dimensione comunitaria che si sviluppa là dove i discepoli, vivendo tra loro il comandamento nuovo di Gesù, si lasciano abitare, singolarmente ed insieme, dalla potenza del Cristo risorto. Scriveva Chiara Lubich nel 1948 ad un gruppo di giovani religiosi: «E avanti! Non con la nostra forza, meschina e debole, ma con l’onnipotenza dell’unità. Ho costatato, toccato con mano che Dio fra noi compie l’impossibile: il miracolo! Se noi resteremo fedeli alla nostra consegna […] il mondo vedrà l’unità e con essa la pienezza del Regno di Dio»(5). Anni fa, quando ero in Africa, spesso incontravo dei giovani che volevano vivere da cristiani e che mi raccontavano delle molte difficoltà con le quali si scontravano quotidianamente nel loro ambiente, per rimanere fedeli agli impegni della fede e agli insegnamenti del vangelo. Ne parlavamo per ore e, alla fine, arrivavamo sempre alla stessa conclusione: «Da soli è impossibile ma, insieme, ce la possiamo fare». Lo garantisce anche Gesù stesso quando promette: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (nel mio amore), lì sono io in mezzo a loro»(6). E con lui tutto è possibile. A cura di Augusto Parody Reyes e del team della Parola di vita _________________________________________________ 1 Lc 1, 32. 2 Ibid, 35. 3 Ibid, 37. 4 D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1988, p. 474. Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) è stato un teologo e pastore luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo 5 C. Lubich, Lettere dei primi tempi. Città Nuova, Roma 2010, p. 164. 6 Cf. Mt 18, 20.

domenica 3 novembre 2024

Parola di Vita - Novembre 2024



«Lei [questa vedova] nella sua povertà ha messo [nel tesoro] tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44). 

Siamo alla conclusione del capitolo 12 del Vangelo di Marco. Gesù è nel tempio di Gerusalemme; osserva e insegna. Attraverso il suo sguardo assistiamo ad una scena piena di personaggi: persone che vanno e vengono, addetti al culto, notabili dalle lunghe vesti, ricchi che gettano le proprie laute offerte nel tesoro del tempio. Ma ecco che si fa avanti una vedova; fa parte di una categoria di persone svantaggiate socialmente ed economicamente. Nel disinteresse generale, getta nel tesoro due spiccioli. Gesù invece la nota, chiama a sé i discepoli e li istruisce: 

«Lei [questa vedova] nella sua povertà ha messo [nel tesoro] tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». 

“In verità vi dico…”. Sono le parole che introducono gli insegnamenti importanti; lo sguardo di Gesù, concentrato sulla vedova povera, ci invita a guardare nella stessa direzione: è lei il modello del discepolo. La sua fede nell’amore di Dio è incondizionata; il suo tesoro è Dio stesso. E, nel consegnarsi totalmente a Lui, ella desidera anche donare tutto quel che può per chi è più povero. Questo fiducioso abbandono al Padre è, in certo modo, l’anticipazione dello stesso dono di sé che Gesù compirà presto con la sua passione e morte. È quella “povertà di spirito” e “purezza di cuore” che Gesù ha proclamato e vissuto. Ciò significa «porre la nostra fiducia non nelle ricchezze, ma nell’amore di Dio e nella sua provvidenza. […] Si è “poveri in spirito” quando ci si lascia guidare dall’amore verso gli altri. Allora condividiamo e mettiamo a disposizione di quanti sono nel bisogno quello che abbiamo: un sorriso, il nostro tempo, i nostri beni, le nostre capacità. Avendo tutto donato, per amore, si è poveri, ossia si è vuoti, nulla, liberi, col cuore puro» (1). La proposta di Gesù rovescia la nostra mentalità; al centro dei suoi pensieri è il piccolo, il povero, l’ultimo. 

«Lei [questa vedova] nella sua povertà ha messo [nel tesoro] tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». 

Questa Parola di vita ci invita prima di tutto a rinnovare la nostra piena fiducia nell’amore di Dio e a confrontarci con il Suo sguardo, per vedere oltre le apparenze, senza giudicare e dipendere dal giudizio degli altri, a valorizzare il positivo di ogni persona. Ci suggerisce la totalità del dono come logica evangelica che edifica una comunità pacificata, perché spinge a prenderci cura gli uni degli altri. Ci incoraggia a vivere il Vangelo nella quotidianità, senza apparire; a dare con larghezza e fiducia; a vivere con sobrietà, nella condivisione. Ci richiama a porre attenzione agli ultimi, per imparare da loro. Venant è nato e cresciuto in Burundi. Racconta: «Nel villaggio, la mia famiglia poteva vantare un buon podere, con un buon raccolto. La mamma, conscia che tutto era provvidenza del cielo, raccoglieva le primizie e puntualmente le distribuiva al vicinato, partendo dalle famiglie più bisognose, destinando a noi solo una piccola parte di quello che rimaneva. Da questo esempio ho imparato il valore del dono disinteressato. Così, ho capito che Dio mi chiedeva di dare a Lui la parte migliore, anzi di dargli tutta la mia vita».

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di Vita _________________________________________________________________ 
1 Cf. C. Lubich, Parola di Vita novembre 2003, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma, 2017) p. 704.

lunedì 2 settembre 2024

La strada che ti sei fatta di Tanino Minuta


 Carissimi amici, 

con grande gioia vi faccio partecipi di un libro uscito di recente e che raccoglie quei fatti che nella mia vita sono stati come dei passi che la Verità, la Vita, Dio ha fatto per raggiungermi e farsi conoscere. 

l'Editore, Gualtiero Palmieri, mi ha molto incoraggiato perché dopo avere letto il manoscritto, vi ha trovato la bellezza di una "storia" che si è composta come un mosaico. 

La raccolta di esperienze oltre che essere come delle cartoline che ritraggono luoghi e momenti della mia vita, vorrebbero mostrare come la Verità della Vita si faccia strada, attraverso le situazioni più semplici.

Il libro quindi potrebbe essere un grazie a tutte le persone incontrate, a chi mi ha amato e insegnato ad amare, ma soprattutto è un grazie a Chiara Lubich che, con la sua vita fedele alla ricerca della Verità, ha tracciato una strada percorribile da tutti. 

Quando l'Editore mi ha chiesto a chi dedico il libro non no avuto dubbi nel dedicarlo "a te", ad ogni lettore, perché lo scopo della pubblicazione è quello di voler essere un dono, lo stesso dono che io ho ricevuto.