“Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16).
“Dio è amore”: è la definizione più luminosa di Dio nella Scrittura che compare solamente due volte e proprio in questo testo, una lettera o forse un’esortazione, che riecheggia il quarto Vangelo. L’autore infatti è un discepolo che testimonia la tradizione spirituale dell’apostolo Giovanni. Egli scrive ad una comunità cristiana del primo secolo, che purtroppo stava già affrontando una delle prove più dolorose, cioè la discordia, la divisione sia sul piano della fede che della testimonianza.
Dio è amore: Egli vive in se stesso la pienezza della comunione come Trinità e trabocca questo amore sulle sue creature. A quanti lo accolgono dà il potere di diventare suoi figli, con il suo stesso DNA, capaci di amare. E il suo è un amore gratuito, che libera da ogni paura e timidezza.
Perché poi si realizzi la promessa della reciproca comunione: noi in Dio e Dio in noi, occorre però “rimanere” in questo stesso amore attivo, dinamico, creativo. Per questo i discepoli di Gesù sono chiamati ad amarsi gli uni gli altri, a dare la vita, a condividere i propri beni con chiunque sia nel bisogno. Con questo amore la comunità rimane unita, profetica, fedele.
“Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”.
È un annuncio forte e chiaro anche per noi, oggi, che ci sentiamo a volte travolti da eventi imprevedibili e difficilmente controllabili, come la pandemia o altre tragedie personali o collettive. Ci sentiamo smarriti e spaventati e forte è la tentazione di chiuderci in noi stessi, di innalzare muri per proteggerci da chi sembra minacciare le nostre sicurezze, piuttosto che costruire ponti per incontrarci.
Come è possibile continuare a credere nell’amore di Dio in queste circostanze? È possibile continuare ad amare?
Josiane, libanese, era lontana dal suo Paese quando ha saputo della terribile esplosione al porto di Beirut, nell’agosto 2020. Confida a chi come lei vive la Parola di vita: «In cuore ho provato dolore, collera, angoscia, tristezza, smarrimento. È fortissima la domanda: non basta tutto quello che il Libano ha vissuto finora? Pensavo a quel quartiere raso al suolo, dove sono nata ed ho vissuto; dove parenti e amici ora sono morti, feriti o sfollati; dove palazzi, scuole, ospedali che conosco molto bene, sono ormai distrutti.
Ho cercato di stare vicina alla mamma e ai fratelli, di rispondere ai moltissimi messaggi di tante altre persone che dimostravano vicinanza, affetto, preghiera, ascoltando tutti in questa ferita profonda che si era aperta. Volevo credere e CREDO che questi incontri con chi soffre sono un richiamo a rispondere con l’amore che Dio ha messo nel nostro cuore. Oltre le lacrime ho scoperto una luce nei tanti libanesi, spesso giovani, che si sono rialzati, si sono guardati attorno e hanno portato soccorso a chi era nel bisogno. È nata in me la speranza che ci siano giovani disposti ad impegnarsi seriamente anche nella politica, perché convinti che la soluzione sia la via del dialogo vero, della concordia, dello scoprirsi - perché lo siamo - fratelli».
“Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”.
Un prezioso suggerimento per vivere questa Parola del Vangelo ce lo offre Chiara Lubich: «Non si può più separare la croce dalla gloria, non si può separare il Crocifisso dal Risorto. Sono due aspetti dello stesso mistero di Dio che è Amore. [...] Una volta fatta l'offerta, cerchiamo di non pensarci più, ma di compiere quanto Dio vuole da noi, là dove siamo: [...] cerchiamo di amare gli altri, i prossimi che ci stanno attorno. Se così faremo, potremo sperimentare un effetto insolito e insperato: la nostra anima è pervasa di pace, di amore, anche di gioia pura, di luce. [...]. E, ricchi di questa esperienza, potremo aiutare più efficacemente tutti i fratelli nostri a trovar beatitudine fra le lacrime, a trasformare in serenità ciò che li travaglia. Diventeremo così strumenti di gioia per molti, di felicità, di quella felicità a cui ambisce ogni cuore umano».
Letizia Magri