giovedì 7 dicembre 2023

Il Movimento dei Focolari compie 80 anni




 Si calcola il 7 dicembre come data di nascita del Movimento dei Focolari perché quel giorno del 1943, a Trento, Chiara Lubich ha enunciato il suo "sì" a Dio, impegno perenne a seguire la sua voce. Lei lo considerava uno "sposalizio" ignara che da quello sposalizio sarebbe partita una corrente di spiritualità che cammina sul binario delle parola di Gesù. 

Questa ventata di vita nuova e fresca mi ha raggiunto più di 50 anni fa cambiando la rotta della mia vita, proponendomi un programma senza programma perché avrei potuto camminare assieme ad un Altro. 

Oggi, nell'ottantesimo del "sì" di Chiara, commovente per il suo coraggio e per la misteriosa risposta ad un amore, quel momento mostra la sua potente fecondità nel "sì" di tanti e tanti nei 5 continenti. 

Quando si ricordava il sessantesimo avevo scritto a Chiara una pagina che lei ha definito poesia e mi ha ripetuto più volte che le era piaciuta. La ripropongo per la gratitudine sempre più grande che provo per lei. 


LA SPOSA DI FUOCO

 

Una notte, come questa, sessanta anni fa, nessuno sapeva che in un punto della terra una donna stava correndo al luogo del “sì”. 

Chi era lo sposo? 

Unica testimone, la Chiesa. 

L’abito nuziale aveva il colore della pioggia e del vento.

Lo sposo non aveva un cognome da donare alla sposa: le prometteva un regno nascosto dove il dolore diventa gioia, la tenebra si muta in luce e dove ogni odio sbiadisce al calore dell’amore. 

Nessun invitato, nessuna firma oltre ad una lacrima, nessun pranzo nuziale.

Un diadema, sì, quello c’era: tre gemme rosse, come garofani accesi, stemma della famiglia.

Oggi, milioni di testimoni e invitati festeggiano lo sposalizio segreto. Lo sposo porta alla sposa la lacrima diventata diamante. E lei cosa gli porta?

Ha in mano tre gemme accese la cui fragranza, che va e che viene, inebria i popoli.

Poi apre i suoi occhi e lo sposo vi vede un’acies di fuoco. Nell’universo c’è un fremito: dove la sposa guarda, le ombre si diradano, fuggono, svaniscono e i pezzi sparsi compongono una casa grande come il mondo. 

 

Con immensa gratitudine!

                       Tanino

 

Bratislava, notte 7 dicembre 2003

venerdì 1 dicembre 2023

Parola di Vita - dicembre 2023

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi» (1Ts 5,16-18).

Paolo scrive ai Tessalonicesi quando erano ancora vivi molti dei contemporanei di Gesù che lo avevano visto e ascoltato, testimoni della tragedia della sua morte e dello stupore della sua risurrezione e poi della sua ascensione. Riconoscevano l’orma lasciata da Gesù e si aspettavano il suo imminente ritorno. Paolo amava la comunità di Tessalonica, esemplare per la vita, la testimonianza e i frutti e scrive loro questa lettera, scongiurandoli che venga letta a tutti (5,27). In essa annota delle raccomandazioni per mantenersi «imitatori nostri e del Signore» (1,6) e che riassume così:

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi»

Il filo conduttore di queste pressanti esortazioni non è solo il che cosa Dio si aspetta da noi, ma il quando: ininterrottamente, sempre, costantemente. Si può, però, comandare la gioia? Che la vita ci assalga con problemi e preoccupazioni, con sofferenze e angosce, che la realtà sociale si mostri arida e inospitale è esperienza di tutti. Eppure per Paolo c’è una ragione che potrebbe rendere possibile sempre “quella letizia” a cui allude. Egli parla ai cristiani e raccomanda loro di prendere la vita cristiana sul serio perché Gesù possa vivere in loro con quella pienezza promessa dopo la sua risurrezione. A volte possiamo farne l’esperienza: Egli vive in chi ama e chiunque può addentrarsi nella via dell’amore con il distacco da sé, l’amore gratuito verso gli altri, accogliendo il sostegno degli amici, mantenendo viva la fiducia che «l’amore vince tutto» (1).

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi».

Dialogare tra fedeli di differenti religioni e persone di diverse convinzioni, porta a comprendere ancor più in profondità che pregare è un’azione profondamente umana; la preghiera costruisce la persona, la eleva. E come pregare ininterrottamente? «…non basta– scrive il teologo ortodosso Evdokimov – avere la preghiera, delle regole, delle abitudini; occorre diventare preghiera, essere preghiera incarnata, fare della propria vita una liturgia, pregare con le cose più quotidiane» (2).

E Chiara Lubich sottolinea che «si può amare (Dio) come figli, col cuore riempito dallo Spirito Santo di amore e di confidenza nel proprio Padre: quella confidenza che porta a parlare spesso con Lui, a dirgli tutte le nostre cose, i nostri propositi, i nostri progetti» (3).

C’è poi un modo accessibile a tutti per pregare sempre: fermarsi davanti ad ogni azione e mettere a fuoco l’intenzione con un “Per Te”. È una pratica semplice che trasforma dal di dentro le nostre attività e la nostra intera vita in una preghiera costante.

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi».

In ogni cosa rendete grazie. È l’atteggiamento che sgorga libero e sincero dall’amore riconoscente verso Colui che, silenziosamente, sostiene e accompagna i singoli, i popoli, la storia, il cosmo. Con la gratitudine verso gli altri che camminano con noi e che ci rende consapevoli di non essere autosufficienti. Gioire, pregare e rendere grazie, tre azioni che ci avvicinano ad essere come Dio ci vede e ci vuole e che arricchiscono la nostra relazione con Lui. Nella fiducia che «il Dio della pace ci santifichi interamente» (4).

Ci prepareremo così a vivere più profondamente la gioia del Natale per fare migliore il mondo, per diventare tessitori di pace dentro noi stessi, nelle case, nei luoghi di lavoro, in mezzo alle piazze. Niente oggi è più necessario e urgente.

A cura di Victoria Gómez e del team della Parola di Vita

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1 P. Vergilius Maro/Virgilio/Virgil, Ecloga X.69; per un rendimento musicale si può vedere Gen Rosso, https://music.apple.com/es/album/lamore-vince-tutto-single/1595294067
2 P. Evdokimov, La preghiera di Gesù in La novità dello Spirito, Ed. Ancora, Milano 1997
3 C. Lubich, Conversazioni, Città Nuova, Roma 2019, p. 552.
4 1 Ts 5,23.

 

 

lunedì 13 novembre 2023

Parola di Vita - novembre 2023


 «Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre» (1Ts 5,5).

La luce ha da sempre simboleggiato la vita. Ogni giorno aspettiamo l’alba quale messaggera di un nuovo inizio. Il tema della luce è stato presente nelle storie dei popoli e nelle antiche religioni. La tradizione ebraica celebra la festa delle luci, Hanukkah, che ricorda la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme e la liberazione dai culti pagani. I musulmani accendono le candele nel giorno della nascita del profeta, Mawlid in arabo o Mevlid Kandili in turco.

La festa di Diwali, il cui nome significa serie di luci, originariamente una festa indù, viene celebrata anche da diverse religioni indiane per celebrare la vittoria del bene sul male. Per i cristiani Gesù Cristo è la luce che illumina le tenebre del mondo. Essa, dunque, è una realtà carica di un forte simbolismo, rappresenta una presenza del divino, un dono per l’umanità e per la terra.

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre».

Ma quali sono le caratteristiche dei figli del giorno? Una di esse è il “non appartenere alla notte, né alle tenebre”. La rinuncia al sonno, all’apatia sta nella decisione di rimanere a vegliare. È una scelta d’amore quella di abitare e di vivere pienamente il tempo.

L’invito pressante dell’apostolo rivolto alla comunità di Tessalonica è dunque quello di vigilare insieme, rinunciando ad ogni tipo di torpore e di indifferenza. In un tempo in cui l’umanità è particolarmente bisognosa di luce, coloro che non appartengono alla notte hanno il compito di illuminare le relazioni tra le persone, in un donarsi continuo per rendere visibile la presenza del Risorto con fede, amore e speranza, come scrive Paolo (cf. 1 Ts 5,8).

E ancora: occorre coltivare un rapporto più stretto e più vero con Dio, scavando nel nostro cuore, trovando momenti di dialogo attraverso la preghiera, mettendo in pratica la Sua parola che fa risplendere proprio questa luce.

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre».

A volte possiamo anche abituarci a vivere nell’oscurità del nostro cuore o accontentarci delle tante luci artificiali, delle varie promesse di felicità del mondo ma Dio ci chiama sempre a far splendere la Sua luce dentro di noi e a saper guardare le persone e gli avvenimenti con attenzione per cogliervi ricami luminosi.

Lo sforzo è quello di compiere continuamente una scelta che ci fa rinascere, la scelta di passare dall’oscurità alla luce. «Il cristiano non può sfuggire il mondo, nascondersi o considerare la religione un affare privato», scrive Chiara Lubich. «Egli vive nel mondo perché ha una responsabilità, una missione di fronte a tutti gli uomini: essere la luce che illumina. Anche tu hai questo compito, e se così non farai la tua inutilità è come quella del sale che ha perso il suo sapore o come quella della luce che è divenuta ombra (1). […] Il compito del cristiano è dunque lasciar trasparire questa luce che lo abita, essere il “segno” di questa presenza di Dio fra gli uomini»(2).

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre».

Dio è luce e può essere trovato da coloro che lo cercano con cuore sincero. Qualsiasi cosa accada non saremo mai separati dal Suo amore perché siamo Suoi figli. Se siamo sicuri di questo non resteremo sorpresi né schiacciati dagli avvenimenti che ci potranno sconvolgere.

Il terremoto di quest’anno in Turchia e Siria, che ha provocato più di 50 mila vittime, ha stravolto la vita di milioni di persone. Coloro che sono sopravvissuti alla catastrofe, intere comunità del luogo e di altri paesi hanno rappresentato dei punti di luce che si sono adoperati per portare aiuti immediati e dare sollievo a quanti hanno perso affetti, case, tutto.

Le tenebre non potranno mai sopraffare quanti scelgono di vivere nella luce e per generare luce. Questo per noi cristiani significa una vita con Cristo in mezzo a noi, presenza che rende possibile aprire squarci di vita, che ridona speranza, che continua a farci abitare nell’amore di Dio.

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di Vita

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1 Cf. Mt 5,13-16.
2 C. Lubich, Parola di Vita agosto 1979, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 145-146.

sabato 30 settembre 2023

Parola di Vita - Ottobre 2023

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21).

Gesù è entrato in Gerusalemme, acclamato dal popolo come “Figlio di Davide”, un titolo regale che il vangelo di Matteo attribuisce al Cristo, venuto a proclamare imminente l’avvento del Regno di Dio.

In questo contesto, si svolge un singolare dialogo tra Gesù e un gruppo di persone che lo interrogano. Alcuni sono erodiani, altri sono farisei, due gruppi di opinione diversa rispetto al potere dell’imperatore romano: gli chiedono se giudica lecito o no pagare le tasse all’imperatore, per costringerlo a schierarsi pro o contro Cesare e avere comunque di che accusarlo.

Ma Gesù risponde con un’altra domanda, riguardo quale sia l’effigie impressa sulla moneta corrente. Poiché l’effigie è quella dell’imperatore, risponde:

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Ma cosa è dovuto a Cesare e cosa a Dio?

Gesù richiama al primato di Dio: infatti, come sulla moneta romana è impressa l’immagine dell’imperatore, così in ogni persona umana è impressa l’immagine di Dio.

La stessa tradizione rabbinica afferma che ogni uomo è creato a immagine di Dio (1), usando l’esempio dell’immagine impressa sulle monete: “Quando un uomo conia delle monete con lo stesso suo stampo, sono tutte simili, ma il re dei re, il Santo che sia benedetto, ha coniato ogni uomo con lo stesso suo stampo del primo uomo, e nessuno è uguale al suo compagno”(2).

A Dio solo, dunque, possiamo dare tutti noi stessi, a Lui solo apparteniamo ed in Lui troviamo libertà e dignità. Nessun potere umano può pretendere la stessa fedeltà.

Se c’è qualcuno che conosce Dio e può aiutarci a dare a Lui il giusto posto, questo è ancora Gesù. Per lui: «[…] amare ha significato compiere la volontà del Padre, mettendo a disposizione la mente, il cuore, le energie, la vita stessa: si è dato tutto al progetto che il Padre aveva su di Lui. Il Vangelo ce lo mostra sempre e totalmente rivolto verso il Padre […]. Anche a noi chiede lo stesso: amare significa fare la volontà dell’Amato, senza mezze misure, con tutto il nostro essere. […] Ci è chiesta, in questo, la più grande radicalità, perché a Dio non si può dare meno di tutto: tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente» (3).

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Quante volte ci troviamo di fronte a dilemmi, scelte difficili che rischiano di farci scivolare nella tentazione di facili scappatoie. Anche Gesù è messo alla prova di fronte a due soluzioni ideologiche, ma per lui è chiaro: la priorità è la venuta del regno di Dio, con il primato dell’amore. Lasciamoci interrogare da questa Parola: il nostro cuore è conquistato dalla notorietà, dalla carriera fulminante; ammira le persone di successo, i vari influencers? Diamo forse alle cose il posto che spetta a Dio?

Con la sua risposta, Gesù propone un salto di qualità, invitandoci ad un discernimento serio e approfondito sulla nostra scala di valori. Nel profondo della coscienza possiamo ascoltare una voce, talvolta sottile e forse sovrastata da altre voci. Ma possiamo riconoscerla: è quella che ci spinge ad essere cercatori instancabili di vie di fraternità e ci incoraggia sempre a rinnovare questa scelta, anche a costo di andare controcorrente.

È un esercizio fondamentale per costruire le basi di un autentico dialogo con gli altri, per trovare insieme risposte adeguate alla complessità della vita. Ciò non significa sottrarsi alla responsabilità personale nei confronti della società, ma piuttosto offrirsi ad un servizio disinteressato al bene comune.

Durante la prigionia che lo porterà all’esecuzione per la sua resistenza civile al nazismo, Dietrich Bonhoeffer scrive alla fidanzata: «Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra, malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla terra. Temo che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo» (4).

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di vita

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1 Cf. Gen 1,26.
2 Mishnà Sanhedrin 4,5.
3 C. Lubich, Parola di Vita ottobre 2002, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 669-6704 

4 Dietrich Bonhoeffer, Maria von Wedemeyer, Lettere alla fidanzata, Cella 92, Queriniana, Brescia 1992, 48.

 

 

sabato 23 settembre 2023

Parola di Vita - settembre 2023


 “Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”(Sal 145 [144],2).

La parola della Scrittura che ci viene proposta in questo mese per aiutarci nel nostro cammino è una preghiera. È un versetto tratto dal Salmo 145. I Salmi sono composizioni nelle quali si rispecchia l’esperienza religiosa individuale e collettiva del popolo di Israele nel suo percorso storico e nelle varie vicissitudini della sua esistenza. La preghiera fatta poesia sale al Signore come lamento, supplica, ringraziamento e lode. In questo respiro c’è tutta la varietà di sentimenti e atteggiamenti con cui l’uomo esprime la sua vita e il suo rapporto con il Dio vivente.

Il tema di fondo del salmo 145 è la regalità di Dio. Il salmista, sulla base dalla sua esperienza personale, esalta la grandezza di Dio: “Grande è il Signore e degno di ogni lode” (v. 3); magnifica la sua bontà e l’universalità del suo amore: “Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (v. 9); riconosce la sua fedeltà: “Fedele è il Signore in tutte le sue parole” (v. 13b), e arriva a coinvolgere ogni essere vivente in un canto cosmico: “Benedica ogni vivente il suo santo nome, in eterno e per sempre” (v. 21).

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”.

L’uomo moderno, tuttavia, si sente a volte smarrito con l’impressione di essere abbandonato a sé stesso. Teme che le vicende delle sue giornate siano dominate dal caso, in un succedersi di eventi privi di significato e di traguardo.

Questo salmo è portatore di un rassicurante annuncio di speranza: «Dio è creatore del cielo e della terra, è custode fedele del patto che lo lega al suo popolo, è Colui che fa giustizia nei confronti degli oppressi, dona il pane che sostiene gli affamati e libera i prigionieri. È Lui ad aprire gli occhi ai ciechi, a rialzare chi è caduto, ad amare i giusti, a proteggere lo straniero, a sostenere l’orfano e la vedova» […] (1).

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”.

Questa parola ci invita innanzitutto a curare il nostro rapporto personale con Dio accogliendo, senza riserve, il suo amore e la sua misericordia e mettendoci davanti al mistero in ascolto della sua voce. In questo consiste il fondamento di ogni preghiera. Ma poiché questo amore non è mai disgiunto da quello per il prossimo, quando imitiamo Dio Padre nell’amare concretamente ogni fratello e sorella, in particolare gli ultimi, gli scartati, i più soli, giungiamo a percepire nel quotidiano la sua presenza nella nostra vita. Chiara Lubich, invitata a donare il suo vissuto cristiano ad un’assemblea di buddisti, lo riassumeva così: «… il cuore della mia esperienza è tutto qui: più si ama l’uomo, più si trova Dio. Più si trova Dio, più si ama l’uomo» (2).

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”.

Ma c’è un’altra via per trovarlo. Negli ultimi decenni l’umanità ha acquisito nuova consapevolezza del problema ecologico. Motore di questo cambio sono, in particolare, i giovani che propongono uno stile di vita più sobrio con un ripensamento dei modelli di sviluppo, un impegno per il diritto di tutti gli abitanti del pianeta ad avere acqua, cibo, aria pulita, e una ricerca di fonti di energia alternative. In questo modo l’essere umano può non solo recuperare il rapporto con la natura ma anche lodare Dio avendo scoperto con stupore la sua tenerezza verso tutta la creazione.

È l’esperienza di Venant M. che, da bambino, nel suo Burundi natale si svegliava all’albeggiare con il canto degli uccelli e percorreva, nella foresta, decine di chilometri per andare a scuola; si sentiva in piena sintonia con gli alberi, gli animali, i ruscelli, le colline e con i propri compagni. Avvertiva la natura vicina anzi, si sentiva parte viva di un ecosistema in cui creature e Creatore erano in totale armonia. Questa consapevolezza diventava lode, non di un momento, ma proprio di tutta la giornata.

Qualcuno potrebbe chiedersi: e nelle nostre città? «Nelle nostre metropoli di cemento, costruite dalla mano dell’uomo tra il frastuono del mondo, raramente la natura si è salvata. Eppure, se vogliamo, basta uno squarcio di cielo azzurro scorto fra le cime dei grattacieli, per ricordarci Dio; basta un raggio di sole, che non manca di penetrare nemmeno fra le sbarre d’una prigione; basta un fiore, un prato, il volto di un bambino…» (3).

A cura di Augusto Parody Reyes e del team della Parola di Vita

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1 Giovanni Paolo II. Udienza Generale, 2 luglio 2003, commento al Salmo 145.
2 M. Vandeleene, Io, il fratello, Dio nel pensiero di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 1999, p. 252

3 C. Lubich, Conversazioni, in collegamento telefonico, a cura di Michel Vandeleene (Opere di Chiara Lubich 8.1; Città Nuova, Roma 2019) p. 340.

 

sabato 1 luglio 2023

Parola di vita - Giugno 2023


 “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt 10,42).

L’evangelista Matteo è uno scriba cristiano molto istruito; conosce a fondo le promesse del Dio di Israele e per lui le parole e le azioni di Gesù ne sono il compimento. Per questo, nel suo vangelo ne presenta l’insegnamento in forma di cinque grandi discorsi, come nuovo Mosè.

Questa Parola di vita conclude il “discorso missionario”, che inizia con l’elezione dei dodici apostoli e indica le esigenze della predicazione: le incomprensioni e le persecuzioni che incontreranno richiedono una testimonianza credibile, anche attraverso scelte radicali.

Ma c’è di più: Gesù rivela che l’invio dei discepoli ha la sua radice nella missione che egli stesso ha ricevuto dal Padre. Una convinzione già viva nell’Antico Testamento: nel messaggero di Dio è Dio stesso che si fa presente, che si impegna. È dunque l’amore stesso di Dio che, attraverso la testimonianza di Gesù e di coloro che Gesù invia, raggiunge a cascata ogni persona.

“Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.

Oltre alla missione specifica di alcuni: gli apostoli, i pastori, i profeti … Gesù annuncia che ogni cristiano può essere suo discepolo, allo stesso tempo destinatario e portatore della missione. E come discepoli, tutti noi, anche se “piccoli”, apparentemente privi di qualità o titoli speciali, siamo abilitati a testimoniare la vicinanza di Dio. È l’intera comunità cristiana ad essere inviata all’umanità dal Padre di tutti.

Tutti abbiamo ricevuto attenzione, cura, perdono, fiducia da Dio attraverso i fratelli; tutti possiamo dare qualcosa agli altri, per far sperimentare loro la tenerezza del Padre, come ha fatto Gesù durante la sua missione. È in questa radice, nel Padre, la garanzia che le cosiddette “piccole cose” possono cambiare il mondo. Fosse pure soltanto un bicchiere d’acqua fresca.

«Non conta se possiamo dare molto o poco. L’importante è il “come” doniamo, quanto amore mettiamo anche in un piccolo gesto di attenzione verso l’altro. A volte basta offrirgli un bicchiere d’acqua, un bicchiere d’acqua “fresca” […] gesto semplice e grande agli occhi di Dio se compiuto nel Suo nome, ossia per amore. […] La Parola di vita di questo mese potrà aiutarci a riscoprire il valore di ogni nostra azione: dai lavori di casa o dei campi e dell’officina, al disbrigo delle pratiche d’ufficio, ai compiti di scuola, come alle responsabilità in campo civile, politico e religioso. Tutto può trasformarsi in servizio attento e premuroso. L’amore ci darà occhi nuovi per intuire ciò di cui gli altri hanno bisogno e per venire loro incontro con creatività e generosità. Il frutto? I doni circoleranno, perché l’amore chiama amore. La gioia si moltiplicherà perché “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (1)»(2).

“Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.

Ciò che Gesù ci chiede è molto esigente: non arrestare il flusso dell’amore di Dio. Ci chiede di raggiungere ogni uomo e ogni donna, con il cuore aperto e il servizio concreto, superando le nostre categorie ed i nostri giudizi.

Egli vuole la nostra collaborazione attiva, creativa e responsabile per il bene comune, a partire dalle piccole cose di ogni giorno, ma allo stesso tempo non mancherà di ricompensarci: sarà sempre al nostro fianco, per prendersi cura di noi e accompagnarci nella missione.

“[…] Ho lasciato il mio lavoro nelle Filippine e sono andato in Australia per stare con la mia famiglia […] ho trovato lavoro in un cantiere edile come addetto alle pulizie delle sale da pranzo, degli spogliatoi, degli uffici e della mensa utilizzati da più di 500 operai. Un lavoro completamente diverso da quello che avevo prima come ingegnere […] Per amore degli altri mi assicuro che le sale da pranzo siano sempre pulite ed ordinate. Tuttavia, ci sono persone che non si preoccupano della pulizia […]. Non ho perso la pazienza perché per me è un’opportunità per amare Gesù in ogni persona che incontro. Piano piano, queste persone hanno cominciato a pulire dopo aver pranzato e poi col tempo siamo diventati amici e ho cominciato a guadagnare fiducia e rispetto da parte loro, […] Ho fatto l’esperienza che l’amore è contagioso e tutto quello che è fatto per amore rimane” (3).

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di vita

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1 At 20,35.
2 C. Lubich Parola di Vita ottobre 2006, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 792-793.
3 A cura di S. Pellegrini, G. Salerno, M. Caporali, Famiglie in azione – Un mosaico di vita, Città Nuova 2022, p. 55.

 

venerdì 9 giugno 2023

Il gusto di vivere


 Il pericolo maggiore che possa temere l'umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è né la fame né la peste, è invece quella malattia spirituale, la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli, che è la perdita del gusto di vivere.

Teilhard de Chardin

 

martedì 6 giugno 2023

parola di Vita - Giugno 2023

 

“Siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi” (2Cor 13,11).

L’apostolo Paolo ha seguito con amore lo sviluppo della comunità cristiana nella città di Corinto; l’ha visitata e sostenuta in momenti difficili.

Ad un certo punto però, con questa lettera, deve difendere se stesso da accuse di altri predicatori, per i quali lo stile di Paolo era discutibile: non si faceva retribuire per il suo lavoro missionario, non parlava secondo i canoni dell’eloquenza, non si presentava con lettere di raccomandazione a sostegno della sua autorità, proclamava di comprendere e vivere la propria debolezza alla luce dell’esempio di Gesù.

Eppure, nel concludere la lettera, Paolo consegna ai Corinti un appello pieno di fiducia e di speranza:

“Siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi”.

La prima caratteristica che balza agli occhi è che le sue esortazioni sono rivolte alla comunità nel suo insieme, come luogo in cui si può sperimentare la presenza di Dio. Tutte le fragilità umane che rendono difficile la comprensione reciproca, la comunicazione leale e sincera, la concordia rispettosa delle diversità di esperienze e di pensiero, possono essere sanate dalla presenza del Dio della pace.

Paolo suggerisce alcuni comportamenti concreti e coerenti alle esigenze dal vangelo: tendere alla realizzazione del progetto di Dio su ciascuno e su tutti, come fratelli e sorelle; rimettere in circolo lo stesso amore consolante di Dio che abbiamo ricevuto; prendersi cura gli uni degli altri, condividendo le aspirazioni più profonde; accogliersi a vicenda, offrendo e ricevendo misericordia e perdono; alimentare la fiducia e l’ascolto.

Sono scelte affidate alla nostra libertà, che talvolta richiedono il coraggio di essere “segno di contraddizione” nei confronti della mentalità corrente.

Per questo, l’apostolo raccomanda anche di incoraggiarsi a vicenda in questo impegno. Ciò che vale per lui è custodire e testimoniare nella gioia il valore inestimabile dell’unità e della pace, nella carità e nella verità. Tutto, sempre, fondato sulla roccia dell’amore incondizionato di Dio che accompagna il suo popolo.

“Siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi”.

Per vivere questa Parola di vita, guardiamo anche noi, come Paolo, all’esempio e ai sentimenti di Gesù, venuto a portarci una pace tutta sua (1). Essa infatti «[…] non è soltanto assenza di guerra, di liti, di divisioni, di traumi. […]: è pienezza di vita e di gioia, è salvezza integrale della persona, è libertà, è fraternità nell’amore fra tutti i popoli. […] E cosa ha fatto Gesù per donarci la “sua” pace? Ha pagato di persona. […] Si è messo in mezzo ai contendenti, si è fatto carico degli odi e delle separazioni, ha abbattuto i muri che separavano i popoli (2). […]

Anche a noi la costruzione della pace richiede un amore forte, capace di amare perfino chi non contraccambia, capace di perdonare, di superare la categoria del nemico, di amare la patria altrui come la propria. […] Essa ancora esige da noi cuore e occhi nuovi per amare e vedere in tutti altrettanti candidati alla fratellanza universale. […] “Il male nasce dal cuore dell’uomo”, scriveva Igino Giordani, e “per rimuovere il pericolo della guerra occorre rimuovere lo spirito di aggressione e sfruttamento ed egoismo dal quale la guerra viene: occorre ricostruire una coscienza“ (3).»(4).

Bonita Park è un quartiere di Hartswater, cittadina agricola in Sudafrica. Come nel resto del Paese, persistono gli effetti ereditati dal regime dell’Apartheid, soprattutto in ambito educativo: le competenze scolastiche dei giovani appartenenti ai gruppi neri e meticci sono assai inferiori a quelle degli altri gruppi etnici, con il conseguente rischio di emarginazione sociale.

Il progetto “The Bridge” nasce per creare una mediazione tra i diversi gruppi etnici del quartiere colmando le distanze e le differenze culturali, con la creazione di un programma di dopo scuola e un piccolo spazio in comune: un luogo d’incontro tra culture diverse, per bambini e ragazzi. La comunità dimostra una grande voglia di lavorare insieme: Carlo ha offerto il suo vecchio camioncino per andare a prendere il legname con cui sono stati fabbricati i banchi e il preside della scuola elementare più vicina scaffali, quaderni e libri, mentre la Chiesa Riformata Olandese ha donato cinquanta sedie. Ognuno ha fatto la sua parte per rendere ogni giorno più saldo questo ponte tra culture ed etnie (5).

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di vita
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1 Cf. Gv 14, 27
2 Cf. Ef 2, 14-18.
3 L’inutilità della guerra, Roma 2003, 2a edizione, p. 111.
4 C. Lubich, Parola di Vita gennaio 2004, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 709-710.

5 Cf.:https://www.unitedworldproject.org/workshop/sudafrica-un-ponte-tra-culture; Spazio famiglia, marzo 2019, pp. 10-13.

 

martedì 30 maggio 2023

don Lorenzo Milani inascoltato profeta

In questi giorni in cui la figura di don Lorenzo Milani viene ricordata, una domanda di incomparabile spessore domina la mia mente: "Perché i profeti non sono ascoltati?". 

La paura del nuovo, come i cavernicoli all'irrompere di fulmini e tuoni, determina purtroppo molti passi di chi ha qualche potere...

Grazie don Milani perché non hai mollato, pur restando fedelissimo alla Chiesa del tuo tempo. 


Se dicessi che credo in Dio, direi troppo poco perché gli voglio bene. 

E volere bene a uno è qualcosa di più che credere nella sua esistenza

Don Lorenzo Milani

Foto da internet


mercoledì 24 maggio 2023

Essere storia


La sempre più evoluta comunicazione con l'aiuto degli strumenti dei media, la memoria storica è protagonista indiscussa del nostro presente. 

Si parli di Falcone e Borsellino, si parli dei volontari nelle terre alluvionate e dei cambiamenti climatici, si parli delle radici dei conflitti armati senza orizzonte di pace... tutto ci fa sentire che siamo parte degli eventi a livello cosmico.

Eppure, si può dire che è inascoltata la storia come magistra vitae.

Ogni generazione crea la sua storia, ogni popolo, ogni singolo. Tenendo un corso sui dialetti dell'Italia, lessi La scoperta de l'America di Cesare Pascarella. A parte il divertimento creato dall'arguzia dell'autore, è nato con gli studenti un dibattito partecipato e ricco. Un motivo di riflessione che non mi aspettavo in tale misura. 

Uno studente, quasi stupito della sua "scoperta" disse una frase che non ho dimenticato: «Non devo soltanto conoscere la storia, voglio essere storia». Quella frase mi interpella sempre. 

giovedì 18 maggio 2023

La tradizione


 La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri.

 

Gustav Mahle(1860-1911), compositore e direttore d’orchestra austriaco.

lunedì 15 maggio 2023

Il volto di Dio


 

Se vogliamo conoscere il vero volto di Dio, bisogna che l’amore sia già presente nella nostra vita, perché Dio è amore. I due discepoli di Emmaus hanno cominciato con l’invitare il viandante sconosciuto a fermarsi con loro nella locanda, e soltanto allora hanno saputo riconoscerlo. 

Claude Geffré (1926-2017), teologo francese. 

foto da internet

venerdì 5 maggio 2023

Qualcosa su Jacques Maritain


 Jacques Maritain, dopo la morte dell’amata Raìïssa della quale aveva scritto «Se desiderate sapere dove mi trovo, non cercatemi dove sono, ma cercatemi dove amo e sono amato, nel cuore della mia Raìïssa benedetta», si ritira a vivere tra i piccoli fratelli di Charles de Foucauld a Tolosa. 

Abita poveramente in una piccola stanza spoglia. François Mauriac che lo visita, scrive di lui: «È incredibilmente lo stesso: ha l’età della sua anima e ne ha anche l’aspetto, se c’è un aspetto dell’invisibile!». E Jacques gli risponde: «Grazie di tutto ciò che ha detto dell’anima (…). I poveri cretini che fanno i furbi gettandola nella spazzatura credono di capire l’uomo, ma non sanno che l’uomo è incomprensibile perché la sua anima è a immagine di Dio, l’Incomprensibile. (…) Coloro che pensano di capire l’uomo con la scienza sono destinati a sfociare nell’ “uomo che è morto”, come dichiarano oggi i loro filosofi».

(grassetto mio).

 

Jacques Maritain (1882-1973), uno dei più grandi pensatori cattolici del XX secolo. 

Nella foto (da internet) Raìïssa e Jacques.

 

lunedì 1 maggio 2023

Parola di Vita - Maggio 2023

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10).

La parola di vita di questo mese è tratta dalla ricchissima lettera di Paolo apostolo ai Romani. Egli presenta la vita cristiana come una realtà dove sovrabbonda l’amore, un amore gratuito e sconfinato che Dio ha riversato nei nostri cuori e che noi doniamo a nostra volta agli altri. Per rendere più efficace il suo significato egli inserisce due concetti in un’unica parola, “philostorgos”, che racchiude due caratteristiche particolari dell’amore che contraddistinguono la comunità cristiana: l’amore tra amici e quello familiare. 

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”. 

Soffermiamoci in particolare sull’aspetto della fraternità e della reciprocità. Come scrive Paolo, gli appartenenti della comunità cristiana si amano perché sono membra gli uni degli altri (12,5), sono fratelli che hanno come unico debito l’amore (13,8), si rallegrano con chi è nella gioia e piangono con chi è nel pianto (12,15), non giudicano e non sono causa di scandalo (14,13). 

La nostra esistenza è strettamente legata a quella degli altri e la comunità è la testimonianza viva della legge dell’amore che Gesù ha portato sulla terra. È un amore esigente che arriva fino al punto di dare la vita gli uni per gli altri. È un amore concreto, colorato da mille espressioni, che vuole il bene dell’altro, la sua felicità. Esso fa sì che i fratelli raggiungano la loro piena realizzazione, che facciano a gara nell’apprezzare ciascuno le qualità dell’altro. È un amore che guarda alle necessità di ognuno, che fa di tutto per non lasciare indietro nessuno, che ci rende responsabili e attivi nell’ambito della vita sociale, culturale, nell’impegno politico. 

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”. 

«Guardando alle comunità del primo secolo vediamo che l’amore cristiano, che si estendeva indistintamente a tutti, aveva un nome, veniva chiamato filadelfia, che significa amore fraterno. Nella letteratura profana dell’epoca questo termine era adoperato per indicare l’amore tra fratelli di sangue. Non veniva mai usato per indicare i membri di una stessa società. Solo il Nuovo Testamento faceva eccezione»1. Molti sono i giovani che hanno l’esigenza di avere «un rapporto più profondo, più sentito, più vero. E l’amore reciproco dei primi cristiani aveva tutte le caratteristiche dell’amore fraterno, per esempio quello della forza e dell’affetto»2.

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”. 

Un tratto che contraddistingue gli appartenenti a queste comunità che vivono l’amore reciproco è che essi non si chiudono in loro stessi, ma sono pronti ad affrontare le sfide reali che si presentano all’interno del contesto nel quale si trovano ad operare. 

J.K., serbo, di nazionalità ungherese, padre di tre figli può permettersi finalmente di acquistare un’abitazione ma a causa di un incidente non ha le risorse economiche e fisiche per ristrutturarla da solo. Così la comunità dei Focolari si mette in moto, concretizzando il progetto #daretocareproposto dai Giovani per un Mondo Unito. 

Egli racconta con entusiasmo la gara di solidarietà che è scattata nel sostenerlo concretamente: «Sono venuti in tanti ad aiutarmi, in tre giorni abbiamo potuto rifare il tetto e sostituire i soffitti in terra e paglia con quelli in cartongesso». Ai lavori di ristrutturazione hanno contribuito economicamente anche alcune persone della Repubblica Ceca. Un gesto che ha reso visibile la comunità allargata, andando anche al di là delle distanze4


A cura di 

Patrizia Mazzola e del team della Parola di vita 

C. Lubich, Colloqui con i gen, Città Nuova, Roma 1999, p. 58. 

Ibid. 

Osare prendersi cura.
Tratto e riadattato dall’articolo “Serbia: costruire una casa, per essere casa”, 

www.unitedworldproject.org 

 

 

giovedì 20 aprile 2023

Occhi di Pasqua (Hemmerle)


 Occhi di Pasqua

Io auguro a noi occhi di Pasqua
capaci di guardare
nella morte fino alla vita,
nella colpa fino al perdono,
nella divisione fino all’unità,
nella piaga fino allo splendore,
nell’uomo fino a Dio,
in Dio fino all’uomo,
nell’io fino al tu.
E insieme a questo, tutta la forza della Pasqua!


Klaus Hemmerle (1929-1994), vescovo di Aquisgrana

domenica 16 aprile 2023

Guardare l’altro con nuovi occhi nuovi

[…] La pace, quella di Gesù, come dice Chiara Lubich «esige da noi cuore e occhi nuovi per amare e vedere in tutti altrettanti candidati alla fratellanza universale». E aggiunge: «Ci possiamo chiedere: “Anche nei condòmini litigiosi? Anche nei colleghi di lavoro che intralciano la mia carriera? Anche in chi milita in un altro partito o in una squadra di calcio antagonista? Anche nelle persone di religione o di nazionalità diverse dalla mia?” Sì, ognuno mi è fratello e sorella. La pace inizia proprio qui, dal rapporto che so instaurare con ogni mio prossimo».



venerdì 14 aprile 2023

L'inferno dei viventi

Leggendo dei saggi sulla letteratura italiana, una frase di Italo Calvino mi è risuonata densa e puntuale:


 L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Italo Calvino (1923-1985), Le città invisibili, Torino, Einaudi 1972.

mercoledì 12 aprile 2023

Le radici di ogni guerra

Mi racconta un amico:



Al collegio dove alloggiavo seguivamo i campionati di calcio in TV. C’erano anche stranieri e proprio quella sera giocava la squadra del loro paese contro la nostra. L’aria era tesa e siccome gli stranieri erano in minoranza, sono cominciati gli insulti fino a provocare la loro reazione violenta. Le scazzottate sono finite in ressa e qualcuno degli altri è rimasto ferito. Quando ho fatto il numero per chiamare il pronto soccorso, un collega, mi fermò dicendomi di lasciarlo morire. Mi sembrò assurdo. Finto di comporre il numero mi arrivò un pugno sul naso. Insanguinato cercai aiuto. Mi trovai solo. Il dolore più grande era quanto fanatismo avesse preso il posto della ragione. Così com’ero aiutai il ferito a prepararsi per l’arrivo dell’ambulanza. Ho maledetto il calcio. Da quel giorno non guardo più una partita.

venerdì 7 aprile 2023

Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?



 «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). È l’invocazione che la Liturgia oggi ci ha fatto ripetere nel Salmo responsoriale (cfr Sal 22,2) ed è l’unica pronunciata sulla croce da Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato. Sono dunque le parole che ci portano al cuore della passione di Cristo, al culmine delle sofferenze che ha patito per salvarci. “Perché mi hai abbandonato?”.

Le sofferenze di Gesù sono state tante, e ogni volta che ascoltiamo il racconto della passione ci entrano dentro. Sono state sofferenze del corpo: pensiamo agli schiaffi, alle percosse, alla flagellazione, alla corona di spine, alla tortura della croce. Sono state sofferenze dell’anima: il tradimento di Giuda, i rinnegamenti di Pietro, le condanne religiose e civili, lo scherno delle guardie, gli insulti sotto la croce, il rifiuto di tanti, il fallimento di tutto, l’abbandono dei discepoli. Eppure, in tutto questo dolore a Gesù restava una certezza: la vicinanza del Padre. Ma ora accade l’impensabile; prima di morire grida: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». L’abbandono di Gesù.

Ecco la sofferenza più lacerante, è la sofferenza dello spirito: nell’ora più tragica Gesù prova l’abbandono da parte di Dio. Mai, prima di allora, aveva chiamato il Padre con il nome generico di Dio. Per trasmetterci la forza di quel fatto, il Vangelo riporta la frase anche in aramaico: è l’unica, tra quelle dette da Gesù in croce, che ci giunge in lingua originale. L’evento reale è l’abbassamento estremo, cioè l’abbandono di suo Padre, l’abbandono di Dio. Il Signore arriva a soffrire per amore nostro quanto per noi è difficile persino comprendere. Vede il cielo chiuso, sperimenta la frontiera amara del vivere, il naufragio dell’esistenza, il crollo di ogni certezza: grida “il perché dei perché”. “Tu, Dio, perché?”.

Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Il verbo “abbandonare” nella Bibbia è forte; compare in momenti di dolore estremo: in amori falliti, respinti e traditi; in figli rifiutati e abortiti; in situazioni di ripudio, vedovanza e orfananza; in matrimoni esausti, in esclusioni che privano dei legami sociali, nell’oppressione dell’ingiustizia e nella solitudine della malattia: insomma, nelle più drastiche lacerazioni dei legami. Lì, si dice questa parola: “abbandono”. Cristo ha portato questo sulla croce, caricandosi il peccato del mondo. E al culmine Egli, il Figlio unigenito e prediletto, ha provato la situazione a Lui più estranea: l’abbandono, la lontananza di Dio.

E perché è arrivato a tanto? per noi, non c’è un’altra risposta. Per noi. Fratelli e sorelle, oggi questo non è uno spettacolo. Ognuno, ascoltando l’abbandono di Gesù, ognuno di noi si dica: per me. Questo abbandono è il prezzo che ha pagato per me. Si è fatto solidale con ognuno di noi fino al punto estremo, per essere con noi fino in fondo. Ha provato l’abbandono per non lasciarci ostaggi della desolazione e stare al nostro fianco per sempre. L’ha fatto per me, per te, perché quando io, tu o chiunque altro si vede con le spalle al muro, perso in un vicolo cieco, sprofondato nell’abisso dell’abbandono, risucchiato nel vortice dei tanti “perché” senza risposta, ci sia una speranza. Lui, per te, per me. Non è la fine, perché Gesù è stato lì e ora è con te: Lui, che ha sofferto la lontananza dell’abbandono per accogliere nel suo amore ogni nostra distanza. Perché ciascuno di noi possa dire: nelle mie cadute – ognuno di noi è caduto tante volte –, nella mia desolazione, quando mi sento tradito, o ho tradito gli altri, quando mi sento scartato o ho scartato gli altri, quando mi sento abbandonato o ho abbandonato gli altri, pensiamo che Lui è stato abbandonato, tradito, scartato. E lì troviamo Lui. Quando mi sento sbagliato e perso, quando non ce la faccio più, Lui è con me; nei miei tanti perché senza risposta, Lui è lì.

Il Signore ci salva così, dal di dentro dei nostri “perché”. Da lì dischiude la speranza che non delude. Sulla croce, infatti, mentre prova l’estremo abbandono, non si lascia andare alla disperazione – questo è il limite –, ma prega e si affida. Grida il suo “perché” con le parole di un salmo (22,2) e si consegna nelle mani del Padre, anche se lo sente lontano (cfr Lc 23,46) o non lo sente perché si trova abbandonato. Nell’abbandono si affida. Nell’abbandono continua ad amare i suoi che l’avevano lasciato solo. Nell’abbandono perdona i suoi crocifissori (v. 34). Ecco che l’abisso dei tanti nostri mali viene immerso in un amore più grande, così che ogni nostra separazione si trasforma in comunione.

Fratelli e sorelle, un amore così, tutto per noi, fino alla fine, l’amore di Gesù è capace di trasformare i nostri cuori di pietra in cuori di carne. È un amore di pietà, di tenerezza, di compassione. Lo stile di Dio è questo: vicinanza, compassione e tenerezza. Dio è così. Cristo abbandonato ci smuove a cercarlo e ad amarlo negli abbandonati. Perché in loro non ci sono solo dei bisognosi, ma c’è Lui, Gesù abbandonato, Colui che ci ha salvati scendendo fino al fondo della nostra condizione umana. È con ognuno di loro, abbandonati fino alla morte… Penso a quell’uomo cosiddetto “di strada”, tedesco, che morì sotto il colonnato, solo, abbandonato. È Gesù per ognuno di noi. Tanti hanno bisogno della nostra vicinanza, tanti abbandonati. Anch’io ho bisogno che Gesù mi accarezzi e si avvicini a me, e per questo vado a trovarlo negli abbandonati, nei soli. Egli desidera che ci prendiamo cura dei fratelli e delle sorelle che più assomigliano a Lui, a Lui nell’atto estremo del dolore e della solitudine. Oggi, cari fratelli e sorelle, sono tanti “cristi abbandonati”. Ci sono popoli interi sfruttati e lasciati a sé stessi; ci sono poveri che vivono agli incroci delle nostre strade e di cui non abbiamo il coraggio di incrociare lo sguardo; ci sono migranti che non sono più volti ma numeri; ci sono detenuti rifiutati, persone catalogate come problema. Ma ci sono anche tanti cristi abbandonati invisibili, nascosti, che vengono scartati coi guanti bianchi: bambini non nati, anziani lasciati soli – può essere tuo papà, tua mamma forse, il nonno, la nonna, abbandonati negli istituti geriatrici –, ammalati non visitati, disabili ignorati, giovani che sentono un grande vuoto dentro senza che alcuno ascolti davvero il loro grido di dolore. E non trovano altra strada se non il suicidio. Gli abbandonati di oggi. I cristi di oggi.

Gesù abbandonato ci chiede di avere occhi e cuore per gli abbandonati. Per noi, discepoli dell’Abbandonato, nessuno può essere emarginato, nessuno può essere lasciato a sé stesso; perché, ricordiamolo, le persone rifiutate ed escluse sono icone viventi di Cristo, ci ricordano il suo amore folle, il suo abbandono che ci salva da ogni solitudine e desolazione. Fratelli e sorelle, chiediamo oggi questa grazia: di saper amare Gesù abbandonato e di saper amare Gesù in ogni abbandonato, in ogni abbandonata. Chiediamo la grazia di saper vedere, di saper riconoscere il Signore che ancora grida in loro. Non permettiamo che la sua voce si perda nel silenzio assordante dell’indifferenza. Non siamo stati lasciati soli da Dio; prendiamoci cura di chi viene lasciato solo. Allora, soltanto allora, faremo nostri i desideri e i sentimenti di Colui che per noi «svuotò se stesso» (Fil 2,7). Si svuotò totalmente per noi.


Papa FrancescoOmelia della Domenica delle Palme, Piazza San Pietro, 2 aprile 2023. 


https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2023/documents/20230402-omelia-palme.html