martedì 25 gennaio 2011

Quale luce diventare?


La famiglia di un mio compagno di scuola mi aveva invitato a passare qualche giorno di vacanza con loro nella villa di campagna dei nonni, non lontana da una stupenda spiaggia al mare.
Spesso nel pomeriggio ci ritrovavamo in spiaggia con altri ragazzi del vicinato. Un giorno ho visto un ragazzo molto triste. Si era accorto che al braccio del mio compagno c’era l’orologio che suo padre, emigrato in Germania, gli aveva mandato quando aveva finito le scuole medie.
L’ho visto correre dalla madre, abitavano in un casetta non lontana, e udii strillare e piangere.
La sera, durante la cena, la nonna si vantava di aver comprato l’orologio dalla povera donna per pochi soldi e tutti ammiravano la sua abilità per l’affare che era riuscita a fare.
La notte non riuscii a dormire.
Il giorno dopo era domenica e siamo andati alla messa. C’era anche il mio amico con l’orologio. All’omelia il sacerdote spiegava come i primi cristiani erano un cuor solo, come si aiutavano, e diceva che erano capaci di vivere così perché la fede in Gesù risorto aveva cambiato il meccanismo del loro cuore e vedevano tutto con altri occhi. La fede li rendeva capaci di superare il proprio egoismo.
Non so quanto sia durata quella Messa, so che per me presero forza delle domande che mi portarono a vedere che tutto attorno a me era falso e che la chiesa era un’istituzione ormai sterile. Lentamente non frequentai più la chiesa.
L’idea cambiò quando incontrai una comunità impegnata a vivere la Parola di Vita. Ciò che mi convinse non fu quello che dicevano, ma come agivano. Erano attenti all’altro, chiunque fosse. Ho sentito che impegnare tutta la mia vita per costruire un mondo che cammini su altri binari, era la cosa più urgente e più intelligente che potessi fare.  

“La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune” (At 4,32).   

foto mia

domenica 16 gennaio 2011

NELLA CORONA DI MARIA


Alla notizia della beatificazione di Giovanni Paolo II, sono andato a vedere in una mia pubblicazione come ne avevo parlato. Copio le pagine: 

Ripercorro quegli anni e mi rendo conto che il Concilio fu una vera rivoluzione coperni­cana. Come ebbe a dire Paolo VI parlando della «riforma del­la Chiesa», il Vaticano II non era pensato diversamente da un «risveglio di immense energie spirituali e morali, quasi latenti nel seno della Chiesa»; «un ringiovanimento, sia delle sue for­ze interiori, sia delle norme che regolano le sue strutture cano­niche e le sue norme rituali».
Decenni di trasformazioni forti che non investono soltanto la Chiesa e i Paesi occidentali, ma lambiscono rive di fiumi freddi e lontani. Dopo Paolo VI e Giovanni Paolo I, un Papa polacco viene per compiere quanto i predecessori avevano ini­ziato e a dare la sua impronta inconfondibile che avrà effetti ol­tre la cortina di ferro. In Russia la «perestrojka» di Gorbaciov aveva aperto nuove finestre e muffe decennali erano comincia­te ad asciugarsi. Gorbaciov stesso dichiarerà a «La Stampa» che tutto quello che era successo in Europa orientale non sa­rebbe avvenuto senza la «presenza di questo Papa, senza il grande ruolo, anche politico, che lui ha saputo giocare sulla scena mondiale».
Quel Papa è Giovanni Paolo II. Esattamente il 13 maggio dell'81, giorno della ricorrenza della prima apparizione di Fatima, era caduto sotto i colpi di un'arma da fuoco, e lui stesso ammetterà che era stata «una mano materna a guidare la traiet­toria della pallottola e il Papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte».
L'evento, come confermerà Lucia, l'unica superstite di Fa­tima, quando nel 2000 sarà svelato il terzo e ultimo segreto, era stato profeticamente «visto», e cioè che un «vescovo vestito di bianco» cadeva a terra colpito a morte. Era il Papa, quel Papa «guerriero» come lo definisce la cantante Mina Mazzini, «con quell'ostinazione che gli fa superare i limiti della macchina umana, con quell'accanimento, quella severità, quelle parole pesanti come massi, quello sguardo tagliente da straniero, quel­la fatica immane, quella leggendaria sopportazione, quell'aria da leone, quella bella faccia da mille Oscar, quella solidità che gli deriva dalle sue certezze, quella testardaggine più forte di mille acciacchi, quella voce che sa ancora pesare sulle parole importanti, quella voglia di sorridere quando c'è festa attorno a lui. Ed è lui il guerriero che ancora una volta, la centesima, tra­scina con i denti il suo corpo in giro per il mondo. Mentre la sua anima lo precede, lo sorvola, lo sostiene. E la sua autorevo­lezza, la sua certezza attrae e respinge. Fa paura, ti augureresti di non incrociare mai i suoi occhi che sono un giudizio univer­sale anticipato. (...) E' lui il profeta che sa, perché ha visto mil­le apocalissi, partendo dai regimi che si sono spartiti la sua ter­ra, mille cilici che in altrettanti luoghi del mondo oltraggiano la dignità dell'uomo, mille piaghe di violenza che hanno segnato il suo corpo...».
La pallottola che ha ferito il Papa è oggi è incastonata co­me una «gemma» nella corona della statua di Maria a Fatima.

Tratto da: Una vita per vincere, biografia di Nicasio Triolo, Città Nuova, Roma 2004, pag 175-176

mercoledì 12 gennaio 2011

La mia favola

-->
C’era una pietra infossata dall’aratro. La radice di una rosa rossa l’aggirava dolcemente per aggrapparsi. La pietra cercava di svincolarsi da quella mano.
La radice chiese:
- Perché non mi lasci aggrappare? Se mi stringo a te la rosa che sta fiorendo potrà essere più sicura, potrà sfidare il vento e sarà bellezza e gioia per tanta gente. Ho bisogno di te!
La pietra rispose:
- Da quando mi sono staccata dalla montagna sono scivolata libera e non voglio ora, proprio ora, essere soffocata sotto terra. Non potrei godere neanche della bellezza della rosa.
La radice allora:
- S’avvicina l’estate, poi verrà l’autunno. La pioggia forse ti libererà, ma il vento strapperà via la rosa e la bellezza non tornerà a fiorire.
La pietra si guardò attorno e accanto a lei, in silenzio, tutto liberamente si lasciava trasformare. Per amore della rosa si lasciò avvolgere.
Passarono giorni e giorni. La pietra divenne il cuore di tante radici. Venne il caldo. Sembrò che le radici volessero succhiare la pietra.
La pietra capì che l’arsura stava uccidendo la rosa. Non poteva fare nulla.
Il cuore delle radici fu colto da un doloroso brivido e pianse per la rosa. Le lacrime cominciarono a spaccare la pietra e lentamente la consumarono.

Venne il freddo.
C’era buio e c'era vento. Un passero vinto dalla bufera rotolò ai piedi di una rosa che lo abbracciò, lo scaldò e sciolse il ghiaccio che paralizzava le sue ali.
Il nuovo giorno svegliò il passero che si guardò attorno:
- Una rosa fiorita nel gelo?
La rosa fiorita nel gelo era grigia e forte, come la pietra. Fiorì e si moltiplicò.
Non c’è più la rosa rossa, non c’è più la pietra, ma… un fiore che sfida e vince le stagioni.










foto mie

venerdì 7 gennaio 2011

IL VALZER DELLA STORIA


Ero per studi a Praga, prima della caduta del muro di Berlino. Una collega italiana, in occasione della visita del suo ragazzo, aveva dato una festa. C’era anche Domenico, convinto comunista.
Dopo la festa, per strada, Domenico mi chiese cos’era stata per me la serata. Ho detto tutta la mia gratitudine per la collega che era riuscita a creare un bell’incontro e anche una buona cena. E lui: “La gratitudine non costruisce il futuro. Io ho provato odio. Ci vuole odio verso chi ha qualcosa che tu non hai, per avere quell’energia che ti fa trasformare la realtà. Altrimenti non sposterai la storia neanche di un millimetro”.
Mentre Domenico seguitava il suo comizio e a bestemmiare contro chi poteva permettersi qualcosa che lui non aveva, mi rendevo conto di quanto fossimo lontani.  
Pensai alle prime comunità di quelli che “erano venuti alla fede” ed erano un cuor solo e un’anima sola. In un lampo è diventato evidente che non può esistere comunismo senza la fede. Lo ascoltai con più “cuore” e vidi che ne fu grato.
Quando ho attraversato da solo il Ponte Carlo, quelle statue annerite dal tempo mi sono apparse muti spettatori della triste farsa della storia e sembrarono spronarmi a immedesimarmi in Domenico per capire cosa ci fosse dietro le sue convinzioni e fargli sentire la mia amicizia.    


Foto mia: Gli strati della storia

giovedì 6 gennaio 2011

Amare tutti e sempre

-->



Epifania di molti anni fa. Moriva mio padre Umberto.
La notte precedente ero al suo capezzale.
L’ospedale mi aveva concesso di vegliare.
A un certo punto della notte un’infermiera viene a chiedermi
se avessi bisogno di un caffè, di un bicchiere d’acqua.
Ho ringraziato, non avevo bisogno di nulla.
Mio padre mi fa segno di avvicinarmi a lui
e con il filo di voce che gli rimaneva mi dice che non avevo ringraziato bene la signora che si era preoccupata di me,
avrei dovuto ringraziarla meglio.
Sono subito andato dall’infermiera 
per ringraziarla “meglio”.
Ma lungo il corridoio del reparto malati terminali
ero esterrefatto da quello che era avvenuto.
Nelle condizioni in cui si trovava mio padre,
con le sofferenze che accompagnavano quell’ultimo 
stadio del suo calvario, 
avrebbe potuto essere racchiuso 
nel suo dolore 
e non stare a vedere 
se il ringraziamento era stato
sufficiente o meno.
Non finiva di essere padre, 
di insegnarmi l’essenza della vita: 
l’amore verso tutti e sempre, anche in casi estremi.

L’ho raccontato in „Nessuna notte è infinita” Città Nuova, Roma , 2004
Foto mia

martedì 4 gennaio 2011

Dio è l'oro della mia città

-->
Freddo gelido, strade pericolose per neve su ghiaccio, arrivo in chiesa e mi stupisce quanta gente sia presente in un giorno feriale e a quest'ora. Mi commuovono soprattutto gli anziani, quelli che hanno già passato molte stagioni.
Porto alla Messa un grosso carico di dolori, di cui sono a conoscenza, che ora mi passano davanti a uno a uno e li consegno all’Autore della vita.
Forse per il clima natalizio, forse per il freddo… quella chiesetta mi sembra il coro di un convento, grande come il quartiere, da dove ogni giorno possiamo affacciarci all’Eternità.
E comincio a ripetere in me una pagina di Chiara Lubich. Ne riporto due stralci:

Immagino un città d'oro
dove il divino è in rilievo, splendente di luce, 
e l'umano fa da sfondo, 
messosi in ombra
 per dar più gran risalto allo splendore. 
Ogni chiesa, ogni tabernacolo
rilucono più del sole, 
perchè lì è rimasto
l'Amore degli amori.

...



Dio è l’oro della mia città,
di fronte al quale il sole s’adombra,
il cielo s’impiccolisce,
ogni bellezza e maestosità della natura
si ritirano beate a far corona,
a servire, cornice.
E questa città è in ogni città
e tutti la possono vedere,
purché si spenga in Dio, obliando, l’anima nostra
e s’accenda in essa il fuoco dell’amore divino.


Chiara Lubich, Meditazioni, Una miriade di stelle splendide.  

Foto mia

sabato 1 gennaio 2011

LA TUA VITA COMINCIA OGGI

"La tua vita comincia oggi" è il titolo di un libro di Pierluigi Torresin che nella mia adolescenza è stato una traccia di luce. 
E' sempre attuale e urgente ricominciare. 
Questo il mio augurio con tutta la mia riconoscenza per ciascun costruttore di questo blog. 



Foto mia