mercoledì 29 settembre 2010

ancora su "DIO COME SPETTATORE"


Un commento di qualcuno che mi ha scritto, anche direttamente, merita una riflessione. 
Lo riporto ringraziando Mauro e Città Nuova, canale di questo incontro. 
Tanino Minuta,
attraverso vari giri sono finito in Città Nuova, e ho letto quell’insolito titolo “Dio come spettatore”.
Poi sono entrato anche nel blog nutrito di vita tua.
Ma torniamo all’articolo di Dio spettatore.
Tu, senza grandi giri e senza salire in cattedra affermi una cosa difficile se non impossibile.
Siamo tutti, tutti condizionati. Anche tu che formuli questi pensieri sei condizionato da un pubblico che ti leggerà e ti applaudirà. Anche io divento tuo pubblico e anche io sarò per te una caramella o uno schiaffo.
Sai cosa mi ha spinto a scriverti? La tua ultima frase, dove dici che stai ancora lavorando su di te e che ti aiutano e ti danno forza i frutti che vedi.
Questo mi ha fatto pensare. Ho visto in te onestà, sincerità e un caparbio impegno a vivere. Questo mi affascina.
Nella cloaca del perbenismo consumistico e del pensare frivolo, la tua parola ha un peso. E ti confido che sosterrò le tue idee.
Forse oggi l’unico atto efficace è mettersi dietro qualcuno che ha qualche idea.
Lasciati ringraziare e scusa se forse ho detto qualcosa di stonato.
M. S.

foto mia

domenica 26 settembre 2010

CHIARA LUCE BADANO


Era il 24 gennaio 1944. Chiara Lubich e le sue prime compagne sentono dire da un sacerdote che il più grande dolore di Gesù è stato sulla croce quando ha gridato “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Chiara racconta che quel momento fu “una rivelazione e una chiamata”.
Scegliere e amare Gesù abbandonato in tutti i dolori personali, nei dolori della società, nelle discordie… divenne il segreto di chi decideva di rispondere con un “sì” senza riserve all’infinito amore di Dio. Nascevano le prime "focolarine". Un giorno Chiara parlando a dei giovani li esortava a far riecheggiare fino agli ultimi confini della terra quel “grido” che avrebbe ridato speranza al mondo. L’annuncio di dire di sì al dolore, riconoscendovi Gesù abbandonato, raggiunse anche Chiara Badano. Beatificata il 25 settembre scorso, la sua perfezione sta nel “sì” a Gesù abbandonato.
La madre racconta che nel momento in cui Chiara seppe della malattia che l’avrebbe portata alla morte, lei si gettò sul letto, nella sua stanza. Volle rimanere da sola. Ci vollero 25 minuti e disse il suo sì a Gesù. "Lo vuoi tu, lo voglio anch'io!"
Da quel sì non tornò mai indietro. Fu una grazia di cui beneficiarono genitori e amici. 
Oggi quel sì ha superato i confini dell’Italia e dell’Europa. Chiara Lubich che l’ha seguita nel tratto può arduo della salita la chiamò Chiara Luce.

Foto mia

giovedì 16 settembre 2010

Dio come spettatore!


Giacomo è un amico. Con lui spesso mi trovo a chiacchierare e raggiungiamo vette altissime. Viene in evidenza la sua saggezza, la sua bontà e una grande capacità di capire gli altri. Quando, però, ci troviamo in un gruppo più allargato con amiche e amici, lui diventa un clown. A tal punto che la sua presenza diventa un peso e ho notato, con dolore, che qualcuno lo evita.
Ho cercato di dirgli di essere più attento, ma è come se scompaia in lui di colpo un modo d’essere e ne scatti un altro.
Mi sono chiesto come possano coesistere queste due facce così fortemente contraddittorie: il mio amico è condizionato dal pubblico. Il pubblico lo rende clown oppure saggio.
Questa situazione mi ha fatto pensare all’opera di Luigi Pirandello “Uno, nessuno, centomila” il romanzo, come asseriva l’autore "più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita".
Mi sono spaventato all’idea che certamente anch’io sono condizionato dagli altri e di crearmi mille facce e alla fine di non essere nessuno.
Ci ho riflettuto e ho individuato dei precisi gruppi di gente che mi condizionano, davanti ai quali il mio agire prende un ritmo o un altro.
Per non veder scomporre la mia vita ho preso la decisione di avere come pubblico Dio e fare tutto davanti a lui, non davanti alla gente.
La mia vita ha cambiato qualità. Il primo frutto è che accostandomi agli altri li vedo senza veli di pregiudizi o paragoni. Vedo chi mi sta davanti così com’è, senza interferenze.
Ciò che facevo per “educazione” o perché guidato dalle convenzioni, ora lo sostanzio d’amore e sono io il soggetto, non altri. Il bisogno di essere capito non lo sento così forte e non sono schiacciato dall’ansia che sia riconosciuto quello che faccio. Mi rendo conto che è un andare controcorrente ma… prima o poi bisogna prendere le redini della propria esistenza.
Devo ancora lavorare su di me, ma vedendo che l’impegno “funziona” e ha i suoi effetti, ciò mi carica di gioia e di speranza!

Foto mia

lunedì 13 settembre 2010

Lavoro a due




Renata e Augusto, da due città italiane, mi rivolgono la stessa domanda su come dare senso alle azioni di ogni giorno.
Apro il libro Dottrina spirituale di Chiara Lubich e trovo la risposta:






Lavoro a due

È grande sapienza trascorrere il tempo che abbiamo vivendo perfettamente la volontà di Dio nel momento presente.
A volte però, ci assalgono pensieri così assillanti, sia riguardo al passato o al futuro, sia riguardo al presente, ma concernenti luoghi o circostanze o persone, cui noi non possiamo direttamente dedicarci, che costa grandissima fatica maneggiare il timone della barca della nostra vita, mantenendo la rotta in ciò che Dio vuole da noi in quel momento presente.
Allora, per vivere perfettamente bene, occorre una volontà, una decisione, ma soprattutto, una confidenza in Dio che può raggiungere l’eroismo.
«Io non posso far nulla in quel caso, per quella persona cara in pericolo o ammalata, per quella circostanza intricata...
Ebbene io farò ciò che Dio vuole da me in quest’attimo: studiare bene, spazzare bene, pregare bene, accudire bene i miei bambini...
E Dio penserà a sbrogliare quella matassa, a confortare chi soffre, a risolvere quell’imprevisto».
È un lavoro a due in perfetta comunione, che richiede a noi grande fede nell’amore di Dio per i suoi figli e mette Dio stesso, per il nostro agire, nella possibilità d’aver fiducia in noi.
Questa reciproca confidenza opera miracoli.
Si vedrà che, dove noi non siamo arrivati, è veramente arrivato un Altro, che ha fatto immensamente meglio di noi.
L’atto eroico di confidenza sarà premiato; la nostra vita, limitata ad un solo campo, acquisterà una nuova dimensione; ci sentiremo al contatto con l’infinito, cui aneliamo, e la fede, prendendo nuovo vigore, rafforzerà la carità in noi, l’amore.
Non ricorderemo più che significhi la solitudine. Balzerà più evidente, anche perché sperimentata, la realtà che siamo veramente figli di un Dio Padre che tutto può.

                                                                                                                                 Chiara Lubich


foto mia, Zalavar (Ungheria) 9/09/'10

venerdì 10 settembre 2010

Essere vinti da un fiore!


Passavo l’estate in una località marina e uno dei programmi serali era quello di osservare lo sboccio della “bella di notte” che avevamo nel giardino. È un fiore fragile, dura soltanto una notte. Può essere rosso-viola, giallo, bianco. Espande lontano il suo profumo e nel buio il suo colore sembra acceso. Ci sedevamo con altri bambini e bambine del vicinato attorno all’aiuola e con gli occhi ben aperti ognuno fissava un bocciolo: dovevamo accorgerci come e quando avveniva lo sboccio. E chi ci riusciva avrebbe vinto. Ci sembrava infatti che quel fiore attendesse una nostra piccola distrazione per aprirsi. E sempre ci trovavamo “presi in contropiede”. Nessuno si è mai reso conto di come era avvenuta l'apertura. L'occhio non riusciva a cogliere l'istante dello sboccio. Dopo vari tentativi vi rinunciammo.
La forza del suo sbocciare è nascosta in un tempo non registrabile. Si dispiega e si espande in modo tale che nessuno si accorge che si sta muovendo. Nella sua "continuità" di lavoro quel fiore ha sempre vinto.


da G. Minuta, Una vita per vincere, Biografia di Nicasio Triolo, Città Nuova, 2004, pag.150.
foto mia: "bella di notte" 

mercoledì 8 settembre 2010

La tua voce...

















La tua voce 
raggiunge il centro del mio silenzio
e libera armonie antiche, mai udite, 
che ritmano il mio passo.



Foto mia, lago Balaton, Ungheria

mercoledì 1 settembre 2010

L'INSPIEGABILE GIOIA DEL PERDONO


“Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”.
(Mt 22,39)

Non ho avuto altra possibilità di lavoro, nonostante l’ottima laurea, che insegnare “religione” in un istituto tecnico. L’inizio non fu facile sia per la complessità della materia, sia perché gli studenti avevano sempre considerato quell’ora come riposo o per studiare altro. Con fatica trovai un mio spazio e lentamente una vera intesa con gli alunni, ma non fu così con i colleghi, con uno in particolare. Un giorno in sala professori, con un tono di voce che potesse arrivare a tutti, mi disse senza guardarmi in faccia: “Ma tu, caro Minuta, non hai trovato un altro modo per rubare soldi?”. Non fu facile ma trovai come risposta una battuta che facesse ridere tutti. A un cineforum, dopo un mio intervento, si arrampicò sui vetri per dimostrare l’infondatezza di quanto avevo detto. Era evidente che ero il suo bersaglio.
A una gita scolastica, una notte il collega si ubriacò da non reggersi in piedi. Lo accompagnai nella sua camera. Stava male. Quando vomitò l’abbondante cena e l’alcool, cominciò a rendersi conto di chi stava accanto a lui. Imbarazzato, con la vergogna di un bambino, chiese perché non lo avessi mandato al diavolo. Era difficile spiegargli la gioia del perdono.        


Foto mia