giovedì 16 settembre 2010

Dio come spettatore!


Giacomo è un amico. Con lui spesso mi trovo a chiacchierare e raggiungiamo vette altissime. Viene in evidenza la sua saggezza, la sua bontà e una grande capacità di capire gli altri. Quando, però, ci troviamo in un gruppo più allargato con amiche e amici, lui diventa un clown. A tal punto che la sua presenza diventa un peso e ho notato, con dolore, che qualcuno lo evita.
Ho cercato di dirgli di essere più attento, ma è come se scompaia in lui di colpo un modo d’essere e ne scatti un altro.
Mi sono chiesto come possano coesistere queste due facce così fortemente contraddittorie: il mio amico è condizionato dal pubblico. Il pubblico lo rende clown oppure saggio.
Questa situazione mi ha fatto pensare all’opera di Luigi Pirandello “Uno, nessuno, centomila” il romanzo, come asseriva l’autore "più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita".
Mi sono spaventato all’idea che certamente anch’io sono condizionato dagli altri e di crearmi mille facce e alla fine di non essere nessuno.
Ci ho riflettuto e ho individuato dei precisi gruppi di gente che mi condizionano, davanti ai quali il mio agire prende un ritmo o un altro.
Per non veder scomporre la mia vita ho preso la decisione di avere come pubblico Dio e fare tutto davanti a lui, non davanti alla gente.
La mia vita ha cambiato qualità. Il primo frutto è che accostandomi agli altri li vedo senza veli di pregiudizi o paragoni. Vedo chi mi sta davanti così com’è, senza interferenze.
Ciò che facevo per “educazione” o perché guidato dalle convenzioni, ora lo sostanzio d’amore e sono io il soggetto, non altri. Il bisogno di essere capito non lo sento così forte e non sono schiacciato dall’ansia che sia riconosciuto quello che faccio. Mi rendo conto che è un andare controcorrente ma… prima o poi bisogna prendere le redini della propria esistenza.
Devo ancora lavorare su di me, ma vedendo che l’impegno “funziona” e ha i suoi effetti, ciò mi carica di gioia e di speranza!

Foto mia

3 commenti:

piccic ha detto...

Hmm… Eccellente.

Devo dire che però forse non basta abbandonare questo atteggiamento, perché anche se smettiamo di considerare ciò che le persone dicono di noi, c'è sempre la nostra idea sbagliata che abbiamo di noi stessi, che è dura a cadere.

Una volta Mario (De Siati, del Gen Rosso) mi ha detto che "il nostro limite è la nostra bellezza". Io non capivo bene, e avendogli chiesto una spiegazione più chiara mi ha detto che il limite in questione non è quello con cui noi ci guardiamo, ma quello con cui Dio ci guarda.
Perché a me riesce quasi più facile applicarlo verso gli altri piuttosto che verso me stesso.

Grazie mille!
Claudio

P.S. Sono arrivato qui dal profilo Splinder di Francesco (etivengoacercare).

Luisa ha detto...

Spessissimo la vita umana è più o meno apertamente caratterizzata dalla paura, e questo provoca non solo mille condizionamenti, ma anche moltissimi mali.
Il comportamento bivalente o polivalente nei confronti altrui penso ne sia figlio diretto.

Una persona di valore a me molto vicina ed amica si comporta proprio come Giacomo e spesso, conoscendola piuttosto bene, mi sento a disagio in compagnie allargate, come fosse stridente ed inutile a se' ed agli altri il suo cambiare faccia e comportamento.

Premesso che non conosciamo mai veramente noi stessi fino in fondo e neanche l'altro, credo di aver compreso che una educazione iniziale di forte diffidenza e difesa verso l'esterno, ed un timore caratteriale di sentirsi "scoperti e nudi" nel mostrarci quali siamo o crediamo sinceramente di essere, sia alla base di questo frequente fenomeno.

Personalmente posso dire, da persona che ha vissuto e vive ancora "senza pelle" di protezione e che molto ha sofferto di questo in anni giovanili, che il progressivo ed ancora costante rifiuto istintivo a mettersi una maschera, richiede un prezzo talvolta doloroso da pagare, ma risulta poi un grande veicolo di possibilità di "incontro" vero con l'altro e di aiuto per gli altri ed anche di crescente forza per noi stessi.

Come è detto nel post, prima o poi l'altro avverte se siamo autentici o contraffatti: ci vogliono tempo e sensibilità, ma è così.
E resta da vedere se ci conosciamo abbastanza e "crediamo" abbastanza per essere autentici davanti a Dio, ma è certo che la fede aiuta enormemente in questo campo, anche perchè, non solo averne la grazia toglie quasi del tutto la "paura"dalle mille facce che connota l'uomo, ma perchè è Fiducia Totale nel Creatore che poi diviene, per mano a Lui, fiducia totale in se stessi e nelle Sue creature.

Grazie per questo importante spunto di riflessione.

Anonimo ha detto...

Tanino Minuta,
attraverso vari giri sono finito in Città Nuova, e ho letto quell’insolito titolo “Dio come spettatore”.
Poi sono entrato anche nel blog nutrito di vita tua.
Ma torniamo all’articolo di Dio spettatore.
Tu, senza grandi giri e senza salire in cattedra affermi una cosa difficile se non impossibile.
Siamo tutti, tutti condizionati. Anche tu che formuli questi pensieri sei condizionato da un pubblico che ti leggerà e ti applaudirà. Anche io divento tuo pubblico e anche io sarò per te una caramella o uno schiaffo.
Sai cosa mi ha spinto a scriverti? La tua ultima frase, dove dici che stai ancora lavorando su di te e che ti aiutano e ti danno forza i frutti che vedi.
Questo mi ha fatto pensare. Ho visto in te onestà, sincerità e un caparbio impegno a vivere. Questo mi affascina.
Nella cloaca del perbenismo consumistico e del pensare frivolo, La tua parola ha un peso. E ti confido che sosterrò le tue idee.
Forse oggi l’unico atto efficace è mettersi dietro qualcuno che ha qualche idea.
Lasciati ringraziare e scusa se forse ho detto qualcosa di stonato.
M. S.