venerdì 27 agosto 2010

E SE FOSSE TUO PADRE?


Come definire quell’impulso che quasi ti costringe a fare una cosa piuttosto che un’altra? Tante volte me lo sono chiesto come quella volta alla stazione Keleti di Budapest. Era una gelida mattina di dicembre e attendevo qualcuno da Monaco di Baviera che sarebbe arrivato con l’Orient Express. C’era un certo ritardo e guardavo in giro per vedere dove comprare una bevanda calda. Da destra vedo avvicinarsi un barbone. Fu automatico cercare di ritrarmi per non restare nella scia del fetore che aleggia attorno ai senzatetto, come li chiamano in Ungheria. Poi una domanda sbucata da chissà quale angolo della mia mente: “E se fosse tuo padre?”. Se fosse stato mio padre gli sarei andato incontro, certamente non mi sarei allontanato. Rimasi fermo al mio posto e seguii il faticoso trascinarsi di quell’uomo. Non so quale età avrei potuto dargli. Dai 40 ai 70 anni. Capelli lunghi appiccicati a un berretto senza forma, barba rada e trascurata, scarpe con grossi crateri che lasciavano vedere i piedi nudi e sporchi, pantaloni fuori misura trattenuti da uno spago legato male, una giacca sbottonata su un torace nudo e rossiccio. Le labbra screpolate. Nella mano destra un grosso sacchetto di plastica pieno di bottiglie vuote. Con l’altra cercava di tenere insieme i brandelli neri di un ombrello così ridotto dalle lotte contro il vento o contro la vita.
Le pupille degli occhi erano azzurre come due perle in un mare rosso di tempesta. Gli sorrisi. Rispose consapevolmente con un elegante segno di gratitudine. Quell’uomo passò. Mi sorpresi di non aver sentito nessun fetore anzi quel passaggio lasciò in me qualcosa di gradevole. Fui grato che il treno avesse avuto ritardo. Come mai mi era venuta in mente una domanda del genere? mi chiesi.
Raccontando poi il fatto a Davi gli feci il paragone di due fiumi paralleli che sentivo scorrere nella mia mente in direzioni opposte. Due antichi, possenti corsi che incanalano e trascinano i miei pensieri. Dico “miei pensieri” ma sono abitudini, esperienze vissute, paure, difese. Poi, chissà per quale regia, succede che una molla fa scattare un pensiero e da un corso lo butta fuori nell’altra corrente, in direzione contraria.

Stazione Keleti di Budapest, foto mia

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