“Colui che viene a me, io non lo respingerò” (Gv 6,37)
Questa affermazione di Gesù fa parte di un dialogo con la folla che, dopo il miracolo dei pani moltiplicati in abbondanza, lo cerca e chiede ancora un segno per credere in lui.
Gesù rivela di essere egli stesso il segno dell’amore di Dio; anzi, egli è il Figlio che ha ricevuto dal Padre la missione di accogliere e riportare nella Sua casa ogni creatura, in particolare ogni persona umana, creata a Sua immagine. Sì, perché il Padre stesso ha già preso l’iniziativa e attira tutti verso Gesù[1], mettendo nel cuore di ognuno il desiderio della vita piena, cioè della comunione con Dio e con ogni proprio simile.
Gesù dunque non respingerà nessuno, per quanto lontano possa sentirsi da Dio, perché questa è la volontà del Padre: non perdere nessuno.
“Colui che viene a me, io non lo respingerò”.
È davvero una buona notizia: Dio ama tutti immensamente, la sua tenerezza e la sua misericordia si rivolgono ad ogni uomo ed ogni donna. Egli è il Padre paziente e misericordioso che aspetta chiunque si metta in cammino, spinto dalla voce interiore.
Noi siamo spesso malati di sospetto: perché mai Gesù dovrebbe accogliermi? Cosa vuole da me? In realtà Gesù ci chiede solo di lasciarci attirare da lui, liberando il cuore da tutto ciò che lo ingombra, per accogliere con fiducia il suo amore gratuito.
Ma è anche un invito che sollecita la nostra responsabilità. Infatti, se sperimentiamo tale abbondanza di tenerezza da parte di Gesù, ci sentiamo mossi a nostra volta all’accoglienza di lui in ogni prossimo[2]: uomo o donna, giovane o anziano, sano o malato, della nostra cultura o no …. E non respingeremo nessuno.
“Colui che viene a me, io non lo respingerò”.
Nel Québec (Canada), una comunità cristiana che vive la Parola è impegnata ad accogliere tante famiglie che arrivano nel loro Paese, da tante parti del mondo: Francia, Egitto, Siria, Libano, Congo… Tutti vengono accolti ed aiutati, anche nella possibilità di inserimento. Questo significa rispondere alle loro molte domande, compilare i moduli relativi allo status di rifugiato o residente, coordinarsi con la scuola dei figli, accompagnarli a scoprire il loro quartiere. È importante anche l’iscrizione a corsi di francese e la ricerca di lavoro.
Guy e Micheline scrivono: «Una famiglia siriana giunta in Canada in fuga dalla guerra, ne ha incontrata un’altra, appena arrivata e ancora molto disorientata. Attraverso i social network, ha attivato la rete di solidarietà e tanti amici hanno procurato il necessario: letti, divani, tavoli, sedie, stoviglie, abbigliamento, libri e giochi per i bambini spontaneamente offerti da altri bambini delle nostre famiglie, sensibilizzati dai genitori. Hanno ricevuto più di quello di cui avevano bisogno e, a loro volta, hanno aiutato altre famiglie povere nel loro palazzo. La Parola di vita di quel mese era arrivata a proposito: "Amerai il prossimo tuo come te stesso!"».
“Colui che viene a me, io non lo respingerò”.
Ecco come possiamo trasformare in vita questa Parola di Dio: testimoniando la prossimità del Padre di fronte ad ogni prossimo, come singoli e come comunità.
Ci aiuta questa meditazione di Chiara Lubich, sull’amore di misericordia. Esso, scrive Chiara è «…[…] l’amore che fa allargare cuore e braccia ai miserabili, […], agli straziati dalla vita, ai peccatori pentiti. Un amore che sa accogliere il prossimo sviato, amico, fratello o sconosciuto, e lo perdona infinite volte. […] Un amore che non misura e non sarà misurato. E’ una carità fiorita più abbondante, più universale, più concreta di quella che l’anima possedeva prima. Essa, infatti, sente nascere in sé sentimenti somiglianti a quelli di Gesù, avverte affiorare sulle sue labbra, per quanti incontra, le divine parole: “Ho misericordia di questa turba” (cf. Mt 15,32). […] La misericordia è l’ultima espressione della carità, quella che la compie. E la carità supera il dolore, perché esso è soltanto di questa vita, mentre l’amore perdura anche nell’altra. Dio preferisce la misericordia al sacrificio”»[3].
Letizia Magri
[1] Cf. Gv 6,44.
[2] Cf. Mt 25, 45.
[3] C. Lubich, Quando si è conosciuto il dolore, in La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, pp. 140-141.
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