domenica 25 aprile 2010

Le caprette illetterate

«Forse sanno quale erba cura l’invidia, come avevano curato
la mia rabbia».

Illustrazione di Valerio spinelli
-->











-->


Dall’Aula Magna dell’università, il giorno precedente, ero uscito con le gambe che mi tremavano. Dopo la mia prolusione preparata in base all’esperienza dell’anno precedente, interviene una collega che, suppongo per l’invidia provocata dagli applausi che avevo ricevuto, fece un commento alla mia esposizione che annullava praticamente il pensiero sul quale avevo costruito il discorso. Lei con voce acuta sentiva il dovere di contraddirmi perché, perché, perché …
Quelle precisazioni agghiacciarono la sala, mentre la mia testa si accese di voglia di difendere le idee che fra l'altro erano frutto di un intenso lavoro comune. Non era l’insuccesso che mi tormentava, ero amareggiato, offeso da un modo di vedere le cose che non teneva conto dell’altro, sconcertato da una difesa di istituzioni morte e non di persone vive. Chiesi al capocattedra, che mi sedeva accanto, se potevo aprire il vespaio dimostrando il non senso e le contraddizioni della collega. Lui mi dice, impassibile: “Non ammazzarla ora, ammazzala domani!”. Gli chiesi il permesso di non rimanere ancora lì e di dispensarmi anche dalla cena ufficiale.
Nell'intervallo che seguì, uscii dalla sala e dall’edificio. Colleghi e studenti formarono una lunga fila per stringermi la mano. Ed io mi sentivo senza sangue nelle vene.
Mi allontani a piedi dall’università verso la periferia della città, dove cominciava il bosco. Conoscevo i sentieri: quante lezioni preparate lì, quanti colloqui con gli studenti, quante corse!
Mentre i pensieri stavano raggiungendo l’ebollizione, il belato di una capretta che stava dietro un recinto mi distrasse. Mi avvicinai. Lei fece altri belati. Dentro il recinto anche le radici dell’erba erano da tempo mangiate. Andai a cercare in giro erba fresca. Cercai cicoria selvatica. Quando fui al cancello di capre ce n’erano tre, quindi altro tarassaco da cercare. E ogni volta che tornavo al cancello, trovavo il numero delle capre cresciuto. Insomma ci volle un’ora prima che potessi allontanarmi da quel recinto.
Quando ripresi la strada per tornare al collegio, dove occupavo una camera nel settore riservato ai professori, avevo una profonda serenità. Le caprette avevano mangiato anche la radice della mia voglia di vendicarmi. E ne fui felice. Sentivo in me un'immensa gratitudine verso Dio-Amore che maternamente mi aveva aiutato a uscire dal tunnel del rancore.
E non era finita. Quando arrivo alla mia stanza, vedo legata da un nastrino alla maniglia della porta una busta. Altre volte avevo trovato messaggi o comunicazioni che la portinaia in genere infilava sotto la porta per essere sicura che mi arrivassero. La busta, di colore rosa, era chiusa. L’aprii con le mie dita verdi. C’era un foglio con un ornato di fiori delicati disegnati a mano. Cercai la firma. Non c’era.
“Ancora non ti sei reso conto che ti voglio bene?”.
Chi poteva essere? In quel momento non ebbi assolutamente l’idea di indagare tra i volti di alunne o colleghe, ebbi piuttosto l’impressione che quella lettera fosse caduta dal Cielo.
Mi distesi sul letto. Ripassai la lunga giornata, il fallimento del mio intervento, sentivo il belato delle insaziabili caprette. Anche il volto della collega, viola per la rigidità delle sue convinzioni, mi provocò una certa compassione. Forse le capre sanno quale erba cura l’invidia, come avevano curato la mia rabbia.
E poi la dichiarazione d’amore! Io non so immaginare gli angeli, ma in quel momento li immaginai come dei postini nascosti dentro le nuvole che fanno cadere dal cielo, al momento opportuno e all’indirizzo esatto, messaggi che aiutano il destinatario a guardare oltre le parole.
La mattina seguente, prima di andare all’università, passai dal mercato per chiedere alle donne che venivano dai villaggi, scarti di verdure. Ne raccolsi due bei sacchi di plastica. Le caprette meritavano.
Arrivai all’università accolto dal saluto solidale dei colleghi. Raggiunsi la stanza del mio capo. Ispezionò la mia faccia, sorridendo guardò verso le mie tasche. No, non avevo armi. Un sorriso soddisfatto e benevolo sottolineò la stima che ci legava e ... la vittoria del buon senso. Lui non mi chiese nulla. Che cosa avrei potuto dire? Forse delle caprette, sì, avrei avuto da raccontare, ma non dentro l’università! Le caprette sono illetterate.


-->






Foto mia, illustrazione di Valerio Spinelli
in Città Nuova online, 23/04/2010 e CN  n° 8/2010

7 commenti:

Giovanna Maria ha detto...

Fragilità umana e cura DIVINA!
Noi siamo SUOI e ci cura!!
Bellissimo, grazie!!!

etivengoacercare ha detto...

Grazie Tanino,capita a fagiolo questa tua esperienza.In questi giorni ho avuto delle difficoltà sul lavoro preludio della riunione di domani pomeriggio.Posso avere tutte le ragioni possibili e immaginabili, ma quel che importa è mantenere l'Amore.Essere creature d'unità. Buona settimana.

Paolo ha detto...

Ho ricevuto anch'io tante lettere legate alla maniglia da un nastrino ...

Anna (da Nicodemo) ha detto...

Tanino, ti assicuro che mi hai fatto venire le lacrime agli occhi e - all'improvviso - ho risentito tutta l'angoscia vissuta per ... 3 mesi (e non un'ora).
Avevo la tua stessa "tentazione" di difendere le mie intenzioni (e non azioni) anche a costo di fare del male; un desiderio devastante di "giudicare" io al fine di accusare chi mi giudicava ingiustamente; la rabbia di chi ha dato tutto senza chiedere nulla (ma neppure l'insulto però) e gli è ritornato proprio l'insulto, l'accusa di secondi fini; lo scandalo di chi non capisce come la cattiveria si possa nascondere dietro ad un volto amico (ma amico sul serio); lo sgomento di chi si sente ingannato nella grande fiducia riposta ed - infine - la voglia di "farla pagare" e di "rovinare" l'altro rivellando cose che solo io sapevo (come - pare - ha fatto l'altro con cose molto personali che io avevo confidato).
Non era una persona come tutte le altre, era una persona che "avrebbe dovuto" avere la carità e l'umiltà come se fosse la sua pelle e invece ...
E' stata una lotta senza pari la mia, ma alla fine ho affidato tutto al Signore. Bene, proprio in quel momento in cui ho detto "Rimango al mio posto come il Signore ha sempre fatto", l'altro ha "deciso" eliminarmi dalla sua vita in un modo così violento e arrogante che ... ho sorriso, davvero, in quello stesso momento è stato come se la mano del Signore mi avesse preso dal cuore il peso e mi stesse dicendo "Ora basta piangere, me ne occupo io" ... e non ci ho più pensato.

Tanino, il bene ha una sua prima caratteristica che è quella di togliere la maschera alla falsità, ne ha una seconda che è quella di togliere la mano per colpire in difesa, ne ha una terza che è quella di NON DIVIDERE MAI. L'auto difesa è un'arma a doppio taglio che nessun essere umano sa davvero gestire, un'arma molto pericolosa anche se estremamente "ovvia"

Unknown ha detto...

Ciao Tanino, le tue esperienze sono sempre interessanti e fanno riflettere, complimenti e ancora grazie per il tuo lavoro!!! bacioni

Anna(da Nicodemo) ha detto...

... e gli angeli ci sono, càspita se ci sono ... Solo che non hanno abiti candidi e ali, ma hanno solo volti o mani che scrivono lettere, o mail ... o altro.
Sono angeli informatizzati, perfettamente dentro il nostro tempo ... alcuni sono laureati o pluri-laureati, altri sono professionisti affermati (ma che non si impongono), certi sono della gente comune, a volte possono essere bambini e - perchè no - anche animali ... come le tue caprette, perchè non è stata "letterina alla maniglia" a tranquillizzarti e a riprendere l'equilibrio, ma sono state le caprette grate a toglierti il veleno.
Per te delle caprette ... domenica - guarda caso - c'era ill Vangelo del Buon Pastore e si parlava di pecore ... Simpatica combinazione.

marc ha detto...

Caro Tanino, mi e' sembrato strano che un uomo saggio come te non si sia accorto che l'occasione di abbracciare questa insormontabile "montagna" poteva darti risultati insperati.
Perche' hai rinunciato alla festa?
Non voglio salire in cattedra, ma con umilta' sento che forse hai perso un'occasione per andare oltre...
Un vicino di casa mi ha detto una volta: "Sai, quando sono ad un incrocio io do' la precedenza a chi me la chiede ed il rancore lo lascio da parte. Arrivo a casa sempre sorridente."
Sai spesso ci penso e credo che abbia proprio ragione perche' spesso, siamo uomini, ci facciamo prendere dalle nostre debolezze e non guardiamo piu' in la'.
Menomale comunque che ci sono le innocenti caprette che ti hanno riportato sulla Via del Tuo Vero Cuore.
Buonanotte, Marcello