martedì 30 novembre 2010

Chi sono?


Nicodemo, mi suggerisce di rispondere in modo sintetico ed essenziale a “Chi sono?” e “Perché sono?”

Chi sono?
Sono l’amore di quanti mi hanno amato e mi amano. Nella scintillante lista ci sei anche tu che mi scrivi e mi leggi.

Perché sono?
Voglio rispondere a un amore. Talvolta ci vuole il coraggio nascosto nel fondo della solitudine, la capacità di rischiare tutto ciò che so per un ignoto che non so. La chiave della mia felicità è stata consegnata a chi mi passa accanto. Come anch’io posseggo la chiave della felicità di altri. Questo gioco grande e appassionante mi sembra sia il senso della mia esistenza.

Ciao, Nicodemo, e grazie!
Tanino 

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venerdì 26 novembre 2010

L'anello debole

Ho ricevuto molte reazioni a ciò che pubblico. E' sempre un dono, qualsiasi cosa mi viene detto.
Qualcuno mi ha chiesto che lavoro faccio, altri mi chiedono se ho famiglia, perchè abito proprio a Bratislava... per questi rimanderei all'intervista TV segnalata in questo blog.
Una suora mi chiede perchè non scrivo più su Città Nuova. Non ho smesso di scrivere su Città Nuova.
Aurelio mi chiede se è attuale parlare di fede o di una vita basata su di essa. Lui mi dice che oggi, nel suo mondo (lavora in una struttura sanitaria) la fede è più o meno un palliativo.
Ad Aurelio trascrivo una frase di G.K. Chesterton: "Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fondati da uomini forti su uomini forti.
Ma quest'unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole".
Sono immensamente grato a ciascuno. Tanino   

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martedì 23 novembre 2010

Sepoltura dei sogni

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Oggi sono stato alla sepoltura della mamma di un amico. Pioveva a dirotto e la sala della “casa della tristezza”, come chiamano in Slovacchia l’edificio dove si svolge la cerimonia di commiato, che può essere anche un rito religioso, era troppo piccola per contenere tutti.
Tenevo l’ombrello in modo che non disturbasse i vicini. Dalla sala poi, dietro al feretro, comincia a muoversi un serpentone di ombrelli che diventerà un fiore variopinto attorno alla fossa già scavata. Tra canti dell’intero gruppo di amici, con qualche ricordo gridato in un microfono ondeggiante, cerco di ascoltare chi parla. Davanti a me due donne si comunicano notizie delle rispettive famiglie e ricette di dolci per diabetici, incuranti dei loro ombrelli che dondolano secondo il racconto, facendo dondolare anche la testa di chi cerca qualche spiraglio per vedere in faccia i parenti stretti o il parlatore di turno.
Comunque riesco a seguire un vescovo che parla della defunta, di Marika, come di una grande attivista in tempi duri. Una ragazza coraggiosa che si esponeva anche a pericoli pur di testimoniare la sua fede. Lei aveva intuito che i sogni hanno bisogno di martiri, di gente che sa rischiare tutto. Le due donne che stavano davanti a me, decidono di andare via. È più facile ora seguire il ricordo che fa piangere marito e figli.
Sapevo poco di quella donna, da vent’anni ridotta all’immobilità da una feroce malattia. Dopo aver salutato la famiglia, l’amico m’invita alla messa che sarebbe stata nella loro chiesa parrocchiale e poi al “kar”, il ricevimento che la famiglia del defunto offre ad amici e parenti.
È un’occasione di ritrovarsi sullo sfondo della vita che passa.
Dipende dalle possibilità della famiglia il tipo di cena e il numero degli invitati. Spesso vengono proiettate delle foto. Sono stato a tanti kar, ma stavolta c’è una caratteristica. Sono presenti molti di quelli che avevano sognato un futuro migliore per questo Paese. Uno di questi, un anziano professore è seduto di fronte a me alla tavola della cena. “Ce ne stiamo andando tutti e con noi seppelliranno anche i nostri sogni! L’altro giorno un mio nipote mi diceva che la nostra generazione di idealisti oggi non potrebbe vivere. Patria, famiglia, fedeltà, onestà, tradizione… tutta roba di un passato lontano. Ho chiesto a mio nipote se ha qualche sogno. Mi ha risposto che i sogni albergano in chi non sa o non può soddisfare i propri bisogni. Oggi si vive il tempo che si ha. Carpe diem!
Mio nipote è un ragazzo bravo ma sembra che oggi il distacco tra le generazioni sia molto più profondo di una volta e che nessun passato sia capace di dare qualcosa alle nuove ondate di umanità”.
Quando ci viene offerta la grappa per fare il brindisi in memoria della defunta, il professore in piedi e con il braccio alzato, aggiunge a chi aveva introdotto il brindisi: “Cari amici, Marika anche dalla sua immobilità non ha visto spegnere i suoi sogni e li riaccendeva in chi l’andava a trovare. La malattia e la morte l’avrebbero messa a tacere, ma non sono riuscite. Marika non tace, ora parla più forte”.
Un sentito applauso arrivò da varie parti della sala piena di gente seduta alle tavolate o in piedi in attesa di cominciare a servire.
“Figlio mio – mi dice il professore dopo aver bevuto la grappa - se potessi parlare al cuore dei giovani direi: sappi afferrare ciò che la vita ti suggerisce, magari con una intuizione. Lasciati condurre da essa. I progetti che facciamo soltanto per avere una vita più facile, per quanto grandi, ritmano la nostra crescita, ma non vanno lontano. Le intuizioni, come i sogni, non hanno il nostro ritmo, sono piccole fessure che ci fanno intravedere il Paradiso!”   

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giovedì 18 novembre 2010

C'era una volta ... un topo

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In una città grande e bella c’era un famoso Istituto di Bellezza. Chi vi entrava ne usciva trasformato. I vecchi tornavano giovani, i brutti diventavano belli, i pessimisti cambiavano umore ed eccoli ottimisti, i tristi cominciavano a sorridere.
Un giorno arrivò lì una vecchia e brutta strega. Era uscita dalle favole perché da quando c’era il consumismo non faceva più affari. Aveva così deciso di diventare attrice cinematografica. Certo che il suo caso era molto difficile.
Bisogna sapere che quell’istituto era famoso perché usava soltanto prodotti naturali: applicava maschere facciali preparate con burro, miele e formaggio.
Un’ape, che forniva miele alla casa della bellezza, confidò un giorno a un topo che in quell’istituto di formaggio ce n’era tanto. E i topi, si sa, amano il formaggio.
E così anche il topo andò in quell’istituto. Quando fu arrivato, non ebbe bisogno di chiedere informazioni. Il suo fiuto non falliva: sentiva dov’era il formaggio.
Si venne a trovare nella sala delle trasformazioni. Lì gli estetisti avevano appena finito di applicare alla nostra strega la maschera al formaggio piccante. Il topo stette un po’ a osservare. Quando gli esperti si allontanarono, si fece più vicino al formaggio, cioè alla faccia della strega. La poveretta era sdraiata sul lettino ed era tutta coperta di bende e lenzuola. Era più brutta e terrificante del solito. Non poteva neanche immaginare che sul suo volto non erano le mani degli estetisti che lavoravano ma un topo.
Aprì mezz’occhio per vedere come andavano i lavori e cosa vide: proprio vicino al suo occhio due occhietti piccolini che guardavano meravigliati.
Nonostante fosse strega, ebbe paura e lanciò un urlo così acuto che tutto il palazzo tremò. Senza più pensare alla maschera e alle bende, se la diede a gambe. La gente che era in sala di attesa, vedendo quel mostro ebbe paura e in quattro e quattr’otto eccoli tutti a correre sulle strade. Correvano e gridavano… Non stavano a guardare neanche i semafori rossi.
I vigili urbani, vedendo quel disordine, corsero anche loro e in breve tempo la città fu messa a soqquadro. C’era un mostro orribile che sembrava un fantasma – noi sappiamo che era la strega – e dietro la folla urlante e sbraitante, e dietro ancora i vigili, poi i pompieri, gli spazzini e i becchini. C’era perfino il farmacista e il camionista.
Correndo correndo alla strega caddero maschera e lenzuola. Si fermò e chiese: “Ma dove stiamo correndo?”
Nessuno seppe rispondere. Allora lei raccontò che le avevano applicato la maschera al formaggio quando un topo…
“Un topo? Un topo vero?” chiese un bambino che era lì. E senza neppure pensarci scappò via verso l’istituto alla ricerca del topo. La madre di corsa dietro il figlio. La gente non capendo nulla, pensò che il fantasma si fosse risvegliato e via a correre. Tutta la città, un caos.
Il topo intanto, dopo essersi fatta una bella scorpacciata di formaggi freschi, se ne stava sul cornicione dell’Istituto di Bellezza a fare la siesta. Sentendo le urla guardò giù. Vedeva la gente correre all’impazzata, prima verso una direzione poi verso l’altra.
Scuotendo la testolina disse fra sé e sé: “C’è una cosa che non capisco: tutti scappano, ma dov’è il gatto?”.

(Ho già pubblicato questa storiella in un'antologia di testi per gli esami di italiano in Ungheria. Aggiungo un mio tentativo di illustrarla)  


lunedì 15 novembre 2010

Dittatura del relativismo


“Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. 
Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É Lui la misura del vero umanesimo. 
"Adulta" non é una fede che segue le onde della moda e l'ultima novità; adulta e matura é una fede profondamente radicata nell'amicizia con Cristo.”


Joseph Ratzinger, Omelia alla messa "Pro eligendo Romano Pontifice", Roma, 18 aprile 2005

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giovedì 11 novembre 2010

Tonička, una piccola donna tra i Monti Giganti

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Tonička era una piccola donna dei monti Sudeti. Sotto il regime comunista si adoperò perché i giovani non cadessero nella trappola della promessa del paradiso in terra.
Il suo impegno anche tra gli operai, non lasciò indifferenti gli osservatori del partito, e venne condannata a sei anni di carcere.
Sfruttò la prigione per pregare, per ripassare le materie apprese a scuola e soprattutto per consolare le detenute politiche e poi le prostitute e le ladre con cui condivise la prigione. Cercò di amare anche i poliziotti costretti a terrorizzare i detenuti.
Dopo tre anni fu rimessa in libertà perché malata di tubercolosi. Lei continuò a dire che la prigione era stata una scuola: ora sapeva ciò che è importante e ciò che non è importante. E fu questo che cercò di comunicare e insegnare, soprattutto alle famiglie e ai giovani.
Dopo la sua morte, due anni fa, la sua casa è rimasta aperta ai giovani e alle famiglie che vengono a trovare i loro parenti degenti, nell’ospedale dove Tonička aveva lavorato come infermiera.
Un piccola-grande donna che ha lasciato una scia di luce e di coraggio, anche nei suoi sette libri carichi di saggezza e di giusta visione della realtà. Una donna che “vedeva”. 

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8).  

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