In questi giorni disorientati dal pianto delle vittime della guerra e resi angoscianti dalla manipolazione delle informazioni, mi è capitato tra le mani un libro di Igino Giordani, noto in Italia come politico, agiografo e grande collaboratore di Chiara Lubich nella fondazione del Movimento dei Focolari.
Alcune frasi, prese da pagine avvincenti, sono un grido potente e attuale contro ciò che sta succedendo in Ucraina.
La maledizione della guerra
Il Vangelo, meditato già abbastanza, m’insegnava, come dovere inseparabile, di far del bene, non di uccidere; di perdonare, non di vendicarmi. E l’uso della ragione mi dava quasi la misura dell’assurdità d’una operazione, la quale assegnava i frutti della vittoria non a chi aveva ragione, ma a chi aveva cannoni; non alla giustizia, ma alla violenza […].
Nel «maggio radioso» 1915, fui chiamato alle armi. […]
Quante trombe, quanti discorsi, quante bandiere! Tutta roba che infittiva dentro il mio spirito la repugnanza per quegli scontri, con governi che, incaricati del bene pubblico, attuavano il loro compito ammazzando figli del popolo, a centinaia di migliaia, e distruggendo e lasciando distruggere i beni della nazione: il bene pubblico. Ma quanto tutto ciò mi apparve cretino! E soffrivo per milioni di creature, alle quali si soleva per forza far credere nella santità di quegli omicidi, santità attestata anche da ecclesiastici che benedicevano cannoni destinati a offendere Dio nel capolavoro della creazione, a uccidere Dio in effige, a realizzare il fratricidio in persona di fratelli, per di più battezzati.[…]
Ben altro concetto avevo io dell’amor di patria. Lo concepivo infatti come amore; e amore vuol dire servizio, ricerca del bene, aumento del benessere, per la produzione di una convivenza più felice: per la crescita, e non per lo stroncamento, della vita.
Ma ero giovane, e non capivo i ragionamenti degli anziani, i quali non facevano questione di capire: si stordivano con cortei e strillavano slogan per narcotizzarsi.
Ero divenuto un cristiano tiepido, ma quella pazzia circumurlante mi stava riportando al Vangelo, di cui vedevo l’attualità, per la sapienza superumana ond’era saturo.
Capii la morte per crepacuore di Pio X (e poi di Pio XI, per la ripetizione di quell’orrore); e capii la definizione precisa di Benedetto XV: «una inutile strage». Non mi rassegnavo alla passività, alla superficialità di tanti, i quali non volevano dare la vita per motivi discussi, vaghi, inesistenti e d’altra parte non si muovevano, lasciavano fare, si lasciavano immolare sull’ara delle chimere tinte di sangue.[…]
Se uno statista dichiara la guerra, si può argomentare, a occhi chiusi, che è un nemico del popolo: difatti, allestisce al popolo miseria e stragi. […]
Luminosamente, come dopo un’esplorazione notturna, la religione mi apparve più di prima sorgiva di vita, difesa della vita, con Cristo che è vita; e non capii come cristiani, laici ed ecclesiastici, avessero potuto – contro l’esempio di Francesco d’Assisi – far della religione un coefficiente di politiche belliche. Solo più tardi dovevo capire come anche nella comprensione del pensiero religioso e nella sua applicazione alla vita ci fosse un progresso. Oggi, la condanna biblica della guerra pare capita dai più.
Se tutte quelle giornate spese, in fondo alle trincee, a guardare canneti e ciuffi di rovi e nubi annoiate e azzurri splendenti, le avessimo spese a lavorare, si sarebbe prodotta una ricchezza capace di soddisfare tutte le rivendicazioni per cui si faceva la guerra. Certo: ma questo era un ragionamento; e la guerra è un antiragionamento.
Igino Giordani, Memorie di un cristiano ingenuo, Città Nuova 1994, pp.47-53
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