giovedì 22 dicembre 2011

QUESTO DIO E' MIO FIGLIO

Jean-Paul Sartre (1905 – 1980), filosofo e scrittore francese, compose una pièce teatrale per i suoi compagni di prigionia a Treviri. Era il Natale 1940. Ecco un accorato brano:



La Vergine è pallida e guarda il bambino. Sul suo viso uno stupore ansioso, che non è apparso che una volta su un viso umano. Perché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, il frutto del suo ventre. L'ha portato per nove mesi, gli darà il suo seno, e il suo latte diverrà il sangue di Dio. In certi momenti dimentica che è Dio: lo stringe tra le braccia e gli dice: "Piccolo mio"
In altri momenti rimane interdetta e pensa: "Dio è là" e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte, a momenti, verso questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita, che è stata fatta con la loro vita. Ma nessun bambino è stato più rapidamente e crudelmente strappato a sua madre, perché è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare.
Penso che ci sono altri momenti, rapidi e difficili, in cui Maria sente nello stesso tempo che Gesù è suo figlio, il suo piccolo e che è Dio. Lo guarda e pensa: "Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e la forma della sua bocca è la forma della mia. Mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!"  Nessuna donna ha avuto in sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere fra le braccia e coprire di baci, un Dio caldo che respira e sorride.
È in quel momento che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l'espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride.


Foto mia

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