Jean-Paul Sartre (1905 – 1980), filosofo e scrittore francese,
compose una pièce teatrale per i suoi compagni
di prigionia a Treviri. Era il Natale 1940. Ecco un accorato brano:
La Vergine è pallida e guarda il bambino. Sul suo viso uno stupore ansioso,
che non è apparso che una volta su un viso umano. Perché il Cristo è il suo
bambino, la carne della sua carne, il frutto del suo ventre. L'ha portato per
nove mesi, gli darà il suo seno, e il suo latte diverrà il sangue di Dio. In
certi momenti dimentica che è Dio: lo stringe tra le braccia e gli dice: "Piccolo
mio"
In altri momenti rimane interdetta e pensa: "Dio è là" e
si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino
terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte, a momenti, verso questo
frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio
davanti a questa nuova vita, che è stata fatta con la loro vita. Ma nessun
bambino è stato più rapidamente e crudelmente strappato a sua madre, perché è
Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare.
Penso che ci sono altri momenti, rapidi e difficili, in cui Maria
sente nello stesso tempo che Gesù è suo figlio, il suo piccolo e che è Dio. Lo
guarda e pensa: "Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia
carne. È fatta di me, ha i miei occhi e la forma della sua bocca è la forma
della mia. Mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!" Nessuna donna
ha avuto in sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere
fra le braccia e coprire di baci, un Dio caldo che respira e sorride.
È in quel momento che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei
di rendere l'espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il
dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino Dio di cui sente
sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride.
Foto mia
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