Ho ricevuto degli echi alla
favoletta “Si chiamava Mamo ed era un ramo”.
Il mondo della favola l’ho
scoperto in Ungheria.
Molti scrittori ungheresi, nel
periodo del regime comunista, scrivevano favole.
Ho frequentato un antico
ristorante dove, una sera della settimana, una ventina di loro si incontravano.
Erano momenti di scambio di
vedute, di commenti a qualche libro appena uscito. C’era pure la cena e allegre
bevute di birra.
Io ero invitato soltanto perché
avevo tradotto in italiano una favola di uno di loro.
Uno scrittore straordinario che
prima o poi vi farò conoscere. Era un capobanda. È capitato più di una volta
che se c’era aria tesa o qualche disputa accesa, lui alzando la voce diceva:
“Sapete cosa mi detto questo sporco capitalista (riferendosi a me) che in
Italia gli scrittori… E ne inventava una grossa. E tutti mi guardavano per
saperne di più dimenticandosi la rissa.
Come traduttore ero incensato.
Tanti si sarebbero aspettati che traducessi una loro opera e intanto mi
mandavano le loro favole. Ma il vero dono è stato l’amicizia che si è creata.
Quel tempo per me è stato una scuola. Ognuno mi ha dato qualcosa, mi ha insegnato qualcosa.
Quindi se la favola
recentemente pubblicata ha avuto effetti, questo lo devo agli scrittori ungheresi.
Stamattina un’anziana signora
mi ringraziava per la favola di Mamo perché, diceva: “Con questa favola lei ha mostrato
come si possa vincere l’orgoglio”.
Un altro mi scrive: “Mio
figlio è un pigrone nella lettura, allora le favole gliele leggo io. Alla tua
favola è rimasto in silenzio. Poi mi ha chiesto perché il ramo si è lasciato
bruciare. Non ho risposto perché attendevo quello che lui voleva dirmi. Quasi
balbettando mi fa: tu e mamma siete come quel ramo. Siete felici se sono
felice. Vi basta la mia felicità. E mi ha abbracciato. Di più non avrebbe
potuto dirmi!”
Cari amici del blog, sono
grato a questo “luogo” che ci permette non solo di comunicare ma di crescere
insieme.
Foto mia