Questa storia, che ho pubblicato nella rivista Città Nuova, è stata presa da molti. Ne sono contento e grato.
La ripubblico integralmente con i miei auguri per il nuovo anno.
Tanino
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Gelida
mattina d’inverno. Alla fermata attendo il bus 61. Dal cancello principale del
cimitero che sta di fronte vedo uscire una vecchietta che cammina lentamente
appoggiandosi ricurva ad un malfermo bastoncino.
Si
avvicina alle strisce pedonali per attraversare. Ma una dopo l’altra le
macchine le passano veloci davanti. Finalmente una macchina si ferma e la
lascia camminare lentamente lentamente. Lei, giratasi, continua a guardare
grata verso l’auto che l’ha lasciata passare.
Le
vado incontro per aiutarla a salire il gradino del marciapiede.
Dentro
di me ribolle l’indignazione per quanti non si sono fermati.
Lei,
offrendomi la mano per essere aiutata, guarda ancora la macchina, ormai
lontana, che l’aveva fatta passare. Poi, con un sorriso di indicibile bellezza,
mi chiede: “Vero, che c’è tanta bontà in questo mondo?”. Quando arriva il 61
l’aiuto a salire.
Guardandomi
attorno, in mezzo a tanti volti che sembrano delle casseforti sigillate, quella donnina mi
sembra sia il tesoro che sta trasportando il bus e nessuno lo sa. La guardo
ancora e mi sento esterrefatto per la lezione che mi ha dato. Lei non ha tenuto
conto di chi non si era fermato, ha visto soltanto chi le aveva permesso di
passare. Non ha visto altro. Le dico “Come sarebbe diverso il mondo se
vedessimo soltanto il bene e non il male”. Interviene a questo punto un signore
seduto vicino: “Allora sì che fallirebbero i telegiornali e tutti i rotocalchi.
Di cosa si nutrirebbe la politica? Veleno, veleno è l’unica risorsa di ogni
potere. Soltanto la malvagità equilibra il mondo. Odio ci vuole, sempre di più.
Sto andando a denunciare il mio vicino di casa che con le sue orge notturne non
ci lascia dormire. Lui ci avvelena la vita e io l’unica cosa che posso fare è
distruggerlo. E stavolta se la passerà male!”.
La
vecchietta lo guarda con materna comprensione, poi fattasi seria: “Avevo un
figlio, che ha vissuto forse come il suo vicino di casa. È morto a 33 anni per
overdose. Tutte le mattine lo vado a salutare. Quando sono alla tomba mi sembra
di rivederlo nella culla, piccolo, indifeso, bisognoso di tutta la mia
protezione. Ormai nulla può fargli male, eppure è come se mi chiedesse di
difenderlo, di proteggerlo ancora. L’unica cosa che posso fare è continuare a difenderlo.
L’unico
figlio. Con mio marito abbiamo lavorato duramente per assicurargli una vita
migliore della nostra. Ma è stato più infelice di noi. Amicizie sbagliate. Per
un ragazzo buono e pulito come lui la scivolata fu veloce. Per anni non abbiamo
saputo dov’era. Attraverso un suo
vecchio amico venimmo a sapere che gironzolava come un barbone alla periferia
della città. Mio marito riuscì a trovarlo. Era irriconoscibile. Sembrava più
vecchio del padre. Accettò di essere curato. In ospedale si comportava come un
animale ferito. Parlava poco, lui che era un brillante intrattenitore delle
feste.
Un
giorno mi disse: “Non c’è cosa peggiore per un uomo che sapere di essere
inutile. Niente è più soffocante dell’inutilità”. Non serviva dirgli,
ripetergli che per noi era importante. Era come se in lui fosse bruciata la
radice della vita.
Uscito
dall’ospedale sparì, senza dirci niente, come la prima volta. Mio marito morì
di crepacuore. Io avevo speranza.
Quando
vennero a dirmi che l’avevano trovato morto si chiuse la speranza. Chissà da
quando tempo era morto. Non me l’hanno fatto mai vedere. Nella sua giacca,
hanno trovato delle frasi scritte su carta da sigarette o droga, la grafia era
la sua.
La vita non mantiene mai le sue promesse. Se tu esistessi
faresti giustizia. Il male ha tutti i poteri. Tu non sei mai nato su questa
terra. Se ci fossi, ti chiederei di ricrearmi. Povero figlio mio, chissà che dolori ha provato! Il nostro
amore non è bastato! Si apriva davanti a me la strada della disperazione,
oppure … rigenerare mio figlio. Per amore di lui cominciai a vivere per gli
altri e non per me. Ciò mi ha aiutato a rinascere e a rigenerare mio figlio.
In
qualche modo era come se Dio mi avesse affidato il compito di possedere un
amore che non avevo mai avuto. Certo che senza la fede non ce l’avrei fatta. La
fede ha delle risorse di forza che quando meno te lo aspetti si mostrano in
tutta la loro potenza. Ora mio figlio palpita in me”.
Il
signore che le siede accanto, nonostante la sua statura, sembra diventato
piccolo e insicuro. Come disorientato. Poi le chiede, quasi balbettando, se può
fare qualche cosa per lei. La vecchietta, come se attendesse la richiesta,
risponde veloce: “Il suo vicino potrebbe essere suo figlio che vuole essere
ricreato!”.
Soltanto
il rumore del motore vibra nell’aria. Quando la vecchietta si alza per
dirigersi alla fermata, il signore l’accompagna. Mi salutano tutti e due.
Scende anche lui. Il palazzo dove prima aveva detto di essere diretto non era
da quelle parti. Mentre il bus si allontana vedo sul marciapiede quel grande
uomo che offre il suo braccio alla vecchietta.
L’atmosfera
di Natale colora la città e abbraccia il bus, le macchine, la gente.
“Vero,
che c’è tanta bontà in questo mondo?” echeggia in me la piccola voce di una
fragile donna quasi piegata su un bastoncino instabile. Mi guardo in giro. La
gente chiusa nei cappotti e nei cuori è fragile e indifesa. La commozione è
forte. È come se ogni sguardo spento mi stia implorando: aiutami a nascere,
fammi da madre!