lunedì 4 gennaio 2010

40 anni di stupore

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Dopo 40 anni, ripensando alla mia decisione di rispondere alla chiamata di Dio, si è ripresentata alla memoria una scena che col tempo non ha perso i margini ma ha rafforzato la sua carica emotiva.
Da Loppiano, lontana circa 20 Km, andavamo tutti i giorni a Firenze per vendere libri, casa per casa. Erano gli anni del boom economico. I condomini erano letteralmente presi d’assalto da persone, in genere uomini in cravatta, eleganti, ventiquattrore di similpelle, con depliant coloratissimi, che offrivano lucidatrici di pavimenti, pentole, detersivi miracolosi, enciclopedie di tutte le misure e di tutti i colori, corsi di inglese per persone anziane… insomma anch’io ero un venditore. Avevo uno zaino carico di libri e di desiderio di svuotarlo. Pesava. Io che fino a qualche mese prima avevo studiato greco e latino ero tra quelli che non sanno fare niente e ai quali venivano affidati i lavori più impensati. Per settimane avevo selezionato per delle ditte di Prato ritagli di stoffa, secondo il colore e il materiale, poi dall’Olanda le balle di “stracci”, come li chiamavamo, non erano arrivate così noi, che venivamo da vari continenti, eravamo stati costretti a fare altro per mantenerci nella nascente utopistica cittadella del Movimento dei Focolari, sorta qualche anno prima sui colli toscani e che cominciava a essere conosciuta. A Firenze andavamo con un pulmino, un secco pranzo a sacco e lo stradario di una città che pensavamo aspettasse impaziente i libri di Città Nuova! Giravamo nelle periferie della raffinata città perché i portinai dei palazzi del centro ci cacciavano via.
La pallida stanchezza con la quale di sera tornavamo a casa fece capire che durante i vari giri almeno una minestra calda sarebbe stata necessaria. 
In una trattoria, una fredda giornata di febbraio, attendo la minestra. La trattoria è piena di anziani soli, gente assonnata di stanchezza o di vino, assiderata di solitudine. Entra una coppia di innamorati. Il loro modo di muoversi attira la mia attenzione. Delicati, paurosi, fragili. Non è gente che va tutti i giorni in trattoria. Occhiaie e debolezza. Sazi d’amore ma non di pane. Vedo in loro la metafora della mia vita. Per amore non ho casa, per amore sono povero e non so cosa sarà di me domani. Per amore. Quale amore?
Ho lasciato la mia città, la mia casa, i miei progetti. A un certo punto qualcuno, con la rapidità di un fulmine, invade il mio campo, azzera i miei calcoli e mi propone di ricominciare. E stavolta il progetto non è nelle mie mani, quindi una vita in dialogo con … l’infinito. Io stesso non so cosa mi stia succedendo. L’unico pallido paragone è l’innamoramento. Di colpo tutto si colora di una dimensione fino a quel momento occulta. In una stanza buia si apre improvvisamente una finestra. Vedi cose che prima non vedevi. Con una potenza misteriosa che disarma la ragione vieni chiamato a uscire dalla tua terra, come Abramo, e andare verso una terra che ti sarà indicata. Una terra ancora ignota. Stai seguendo un altro, le orme di un altro. Non avrei mai immaginato che la mia vita prendesse una tale direzione. Per quanto credente, mai avevo pensato a una decisone che mi tagliasse fuori da quel giro di avvenimenti prevedibili e sereni, dalle amicizie, dai parenti, dalle feste e soprattutto dalla mia città dove mi vedevo sistemato e felice. Guardo gli innamorati. La radio dalla cucina fa arrivare, col fumo pesante del fritto, una canzone cantata da Gino Paoli “Gli innamorati sono sempre soli”.
Non sembra che mi abbiano fatto un lavaggio di cervello, come continua a scrivermi un’amica. Fuga? Da chi, da che cosa?
Che io non abbia un carattere forte è vero, ma la spinta che mi ha fatto fare la follia di lasciare i miei progetti, per mettermi in ascolto di un altro, non ha niente a che fare con la personalità. È un misterioso amore. Un amore che mi rende solo. Un amore necessario per rivolgermi agli altri, a tutti. Non tornerei mai indietro. Quello che ho trovato supera il valore di tutto il percorso fatto fin’allora.
Gli amanti si coccolano. Negli occhi di lei un velo di tristezza. Penserà alla sua famiglia? Soffriranno per colpa sua, non accettano il suo amico? Sarà fuggita da casa?
E mi chiedo perché la scelta che ho fatto è causa di dolore per altri. Ho scelto di essere scelto da Dio.
Guardo quegli innamorati pallidi, felici e poveri. Unico bene il loro amore. Come me, anch’essi mangiano soltanto una minestra calda. Non di più.
Lui guarda i posacenere sui tavoli di unta formica celeste. Forse cerca qualche cicca da fumare. Lei guarda un anziano grasso che divora una cotoletta.
Seguo i lineamenti delicati di lei. Raggiungo la faccia rotonda dell’anziano. Anche lui è come me, come lei, come gli innamorati. È solo.
Svuotato il piatto di minestra mi preparo a uscire dalla trattoria. Cappotto, zaino.
Un’occhiata ai giovani. Non so come, mi è spontaneo salutarli. Mi rispondono con dolcezza.
Uscito per la strada anonima, dominata da un traffico senz’anima, quella coppia innamorata mi sembra mi abbia donato un fiore delicato, senza protezione. Vorrei regalare loro qualcosa. Ma cosa? Il loro amore li rende inavvicinabili. La loro povertà li fa ricchi, potenti.
Mi distraggono due stranieri che chiedono qualche indicazione. Cominciamo a parlare e facciamo un pezzo di strada insieme. Jacques, che studia arte drammatica a Parigi, fa uno stage in Italia e non poteva mancare la visita a Firenze. Marianne studia scenografia a Roma. Racconto perché sono a Firenze ed è ineludibile usare la metafora degli innamorati appena incontrati.
Parlare di Dio che mi ama, in mezzo al traffico violento, alla gente spenta, alle vecchiette sospettose, è ancora più stridente. Jacques mi dice che non sente il bisogno di avere una fede anche se ha una sua religiosità intima dove trova rifugio.
Salutandomi, Marianne dice: “Tu, hai scelto liberamente il tuo stesso destino. Hai negli occhi una certezza che non lascia indifferenti. Questo incontro sembra la mossa di un regista nascosto”.
Mentre li vedo allontanare finisco di cantare la canzone di Paoli degli innamorati che sono “gli unici padroni del mondo”.

 Dettagli vetrata "profeta Amos" di Marek Trizuljak

3 commenti:

luigi vidoni ha detto...

Grazie, Tanino!
Mi hai fatto rivivere esperienze analoghe di quarant'anni fa… Esperienze che hanno segnato la mia vita. Senza rimpianti… Rifarei tutto… Se potessi, meglio!
Mi sono rivisto girare per le strade dei dintorni di Firenze, con la borsa piena di libri, da "tentare" di vendere… Era bello, ci sembrava di spaccare il mondo… Non ci capivano, ci prendevano per dei sognatori… Ho incontrato tanta gente, persone di tutti i tipi, tante famiglie… Ero "soddisfatto" perché riuscivo ad aver contatto con tante persone, più che a vendere libri… Anche se a fine giornata, c'era sempre qualcuno che mi faceva "la conta" di quanto avevo venduto…
Mi ricordo che io, a quel tempo, non avevo tanto bisogno di una "minestra calda", quanto di qualche sigaretta, dato che avevo deciso di smettere di fumare e l'astinenza mi pesava un po'…
Mi ricordo, come fosse oggi, di due incontri particolari: uno di un signore distinto, che era massone; e l'altro di una giovane signora, che aveva sposato un testimone di Geova.
Appena entrato a casa di quel signore, una sensazione di disagio mi prende. Percepisco nell'aria una qualcosa di strano, come di alcunché di avverso, ed un brivido mi scorre per la schiena… Mi verrebbe la voglia di scappare, ma mi faccio forza e mi dico che è un Gesù da amare. Ci mettiamo a parlare… e con mia sorpresa il dialogo diventa interessante. Lui si presenta come massone, ma sento che non ha odio per la chiesa. Gli presento alcuni libri. Legge l'autore di uno, "Spartaco Lucarini", allarga un sorriso ed esclama: "Eravamo compagni di scuola!". E parliamo di lui, che peraltro era già morto. Mi compera quel libretto e mi saluta con una stretta di mano che diceva tante cose.
Un altro giorno sono entrato in un casa dove c'era una giovane mamma con il figlioletto, Gabriele (me lo ricordo ancora!). Abbiamo parlato un po'. Lei si sentiva a disagio perché, essendo testimone di Geova, non poteva comperare libri, pur desiderandolo. Temeva che rientrasse il marito ed allora erano guai… Mi ha fatto pena. Quando mi ricordo di questo incontro, prego ancora per loro.
Non sono riuscito a venderle dei libri, ma solo un 45 giri del Gen Rosso, "Grazie, mamma!". Ed il piccolo Gabriele era felicissimo. Attraverso quella canzone, che eravamo certi fatta "per amore", sarebbe passato l'Amore.
È vero, Tanino, siamo stati chiamati per nome! E stiamo continuando nella strada di quell'Amore, condotti da quella mano "invisibile"!
Grazie ancora…
Gigi

Tanino Minuta ha detto...

Grazie Gigi! Quante cose il tempo ci aiuta a "vedere"! Grazie per quanto mi dici. Ieri dopo aver inserito il post mi sono reso conto che la data, il 4 gennaio era esattamente la data della mia partenza. Ed mi trovo proprio ad Agrigento, la mia città che ho lasciato il 1967. 43 anni fa! un tempo di grazie e di educazione a "vedere". Ciao! Tanino

Tanino Minuta ha detto...

Grazie Tanino perchè ci fai capire che questo REGISTA esiste, e guida
davvero la nostra vita. Troppo bello...........

Gianni e Amelia