In ospedale mi
hanno permesso di vegliare mio padre che è già molto grave.
Durante la notte
viene da me un’infermiera per chiedermi se ho bisogno di qualcosa. Le dico
semplicemente, a voce bassa, che non ho bisogno di nulla.
Mio padre mi fa
cenno di avvicinarmi a lui. Parla con difficoltà e con un filo di voce mi dice:
“Non hai ringraziato bene l’infermiera. Vai da lei e dille che è stata molto
gentile a occuparsi di te”.
Così faccio. Nel
lucido corridoio dell’Ospedale Gemelli, mentre torno da mio padre mi chiedo
come mai, lui che è nella piena sofferenza si è accorto di un ringraziamento non
perfetto.
Lui continua ad
essermi padre, a insegnarmi cosa vale nella vita. La vera lezione per me è il
paradosso di vedere un corpo distrutto e una carità sempre più raffinata.
Quel luogo di
consumazione, dove ogni stanza è colma di dolore, diviene improvvisamente una
cattedrale di luce. Posso costatare nella purificata carità di mio padre, il
segno tangibile di Colui che ha vinto la morte.
Quando, il giorno
seguente, mio padre ci lascia, non vedo la morte ma la risurrezione che affonda
sempre più le sue radici in terra. Ed è il giorno dell’Epifania.
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