Pubblico una pagina del blog già pubblicata, che lei amava ricordare:
Non ricordo esattamente quanti anni avessi. Ero
sicuramente molto piccolo, nell’età dei mille perché. Ed uno dei miei “perché”
era: “Perché Peppe non parla?”. “Perché è sordomuto” rispondevano i grandi.
“E perché è sordomuto?”.
Peppe veniva quasi tutti i giorni da noi. Era
povero, solo. Gli davamo da mangiare. Il fatto che fosse sordomuto non mi
spiegava nulla. Volevo saperne di più.
Assieme a mio fratello, di poco più grande di
me, trovammo la spiegazione giusta: “Peppe non parla perché ha finito tutte le
sue parole”.
Ricordo che da quel giorno fui preso dalla
nascosta paura di consumare tutte le mie parole. Da un momento all’altro anche
le mie parole sarebbero finite, proprio come finisce un gelato.
Così con mio fratello decidemmo di conservarci
più parole possibili fino a che non saremmo diventati grandi. I grandi,
infatti, non hanno problemi. Parlano, parlano, parlano e non hanno paura che le
loro parole finiscano.
E io vedevo che di parole i grandi ne avevano
tante. E avevano parole difficili, anzi difficilissime. Mio padre, per esempio,
quando parlava diceva spesso insomma. Io non sapevo cosa fosse quella parola.
Non era un tavolo, non era un oggetto da me conosciuto. Era una parola che solo
i grandi potevano dire.
E mi dicevo: “Anch’io da grande potrò dire
insomma tutte le volte che ne avrò voglia!”.
E sognavo il giorno in cui finalmente avrei
potuto dire: insomma!
2 commenti:
Deliziosa storia. Un ricordo che è un poema.
Grazie, Tanino.
Evviva Camilla che ti incoraggiava!
Anna
Non è nuova per ma ... ma è sempre nuova.
Ciao, Alfredo
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