Viveva con i senzatetto perché scappato da casa: i genitori
erano sempre ubriachi e violenti. Tra i barboni aveva trovato tanta solidarietà,
anche se le liti per i posti di accattonaggio erano violente. Nonostante non
avesse ancora 40 anni i segni di varie malattie erano evidenti.
Ho cercato di aiutarlo: rifare una carta d’identità, entrare
in una clinica disintossicante, trovare un posto per dormire e poi una famiglia
che l’ha accolto come un figlio.
Un giorno mi ha telefonato e l’ho raggiunto nel luogo che mi
ha detto. Era in mezzo a tanti senzatetto. Dopo avermi presentato loro come amico,
mi ha detto che non ce la faceva a restare da quella famiglia. Anche se gli
volevano bene, a lui mancava qualcosa che gli dava un vero senso di avventura.
Sapeva bene di aver fatto male ma non era capace ormai di non bere e non
riusciva a vivere in una prigione.
Gli ho chiesto perché mi avesse cercato, mi rispose: “Il
vero bene non è una vita protetta e comoda ma avere degli amici che ti
capiscono anche se sbagli. Da quella famiglia mi sentivo l’ultimo, qui mi sento
come gli altri e ci conquistiamo la vita giorno dopo giorno. Sto bene così. Ti
chiedo solo di restare mio amico”.