Quando
si è conosciuto il dolore in tutte le sfumature più atroci, nelle angosce più
varie, e si son tese le mani a Dio in mute strazianti implorazioni, in sommesse
grida di aiuto quando si è bevuto il fondo del calice e si è offerta a Dio per
giorni e per anni, la propria croce, confusa con la sua, che la valorizza
divinamente, allora Dio ha pietà di noi e ci accoglie nella sua unione.
È il momento
in cui, dopo aver esperimentato il valore unico del dolore, dopo aver creduto
all’economia della croce ed averne visto gli effetti benefici, Iddio mostra in
forma più alta e nuova qualcosa che vale più ancora del dolore. È l’amore
agli altri in forma di misericordia, l’amore che fa allargare cuore
e braccia ai miserabili, ai peccatori pentiti, ai pezzenti, agli straziati
dalla vita. Un amore che sa accogliere il prossimo sviato, amico, fratello o
sconosciuto, e lo perdona infinite volte. L’amore che fa più festa a un
peccatore che torna che a mille giusti, e presta a Dio intelligenza e beni per
permettergli di dimostrare al figliol prodigo la felicità per il suo ritorno.
Un amore che
non misura e non sarà misurato.
È una carità
fiorita, più abbondante, più universale, più concreta di quella che l’anima
possedeva prima. Essa infatti sente nascere in sé sentimenti somiglianti a quelli
di Gesù, avverte affiorare sulle sue labbra, per quanti incontra, le divine
parole:
«Ho
misericordia di questa turba». E intavola con tanti peccatori che vengono a
lei, perché un po’ immagine di Cristo, colloqui simili a quelli rivolti un
giorno da Gesù alla Maddalena, alla samaritana o all’adultera. La misericordia
è l’ultima espressione della carità, quella che la compie. E la carità supera
il dolore, perché esso è soltanto di questa vita, mentre l’amore perdura anche
nell’altra.
Iddio
preferisce la misericordia al sacrificio.
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