L'omelia di don Paolo Squizzato
esprime pienamente il mio Natale. Auguri a tutti!
Tanino
Con l’annuncio a Maria, qualcosa di inaudito si va compiendo.
Finisce l’epoca della religione, comincia quella della fede. L’uomo, da
sempre intento a scalare il cielo, ora è da esso visitato. «Con Gesù di Nazaret ci è stata interdetta ogni scala verso il cielo» (Simone Weil).
Maria è figura dell’attesa umana che crea
in sé lo spazio perché tutto si possa compiere.
«“Che cosa mi dà la vita?”. La risposta è
facile: tutto. Tutto ciò che non è me e mi illumina. Tutto ciò che ignoro e che
aspetto. L’attesa è un fiore semplice. Germoglia sui bordi del
tempo. È un fiore povero che guarisce tutti i mali. Il tempo dell’attesa è un
tempo di liberazione. Essa opera in noi a nostra insaputa. Ci chiede soltanto
di lasciarla fare, per il tempo che ci vuole, per le notti di cui ha
bisogno. La nostra attesa viene sempre soddisfatta di sorpresa. Come se quello
che speravamo fosse sempre insperato. Come se la vera formula dell’attendere fosse questa: non prevedere niente, se non
l’imprevedibile. Non aspettare niente, se non l’inatteso»
(Christian Bobin, Elogio del nulla).
Maria crea in sé lo spazio. Questo è il
significato profondo della ‘verginità’ di Maria, che noi
cattolici purtroppo abbiamo per molto tempo ridotto ad una mera questione d’integrità dell’imene. No, Maria è vergine perché ha
‘creato’ in sé il ‘vuoto di sé’ attraverso la morte
dell’io, dell’auto-centramento,
della non-azione, consapevole che la massima opera può
accadere quando non è più posta alcuna azione.
Maria è la discepola che insegna una delle verità
profonde di ogni spiritualità: non prevedere niente, se non l’imprevedibile. Non attendere nulla
se non l’insperato. Si tratta dell’‘attesa senza oggetto’ tanto cara alla
Weil. Finché attendiamo ciò che crediamo di conoscere, ci raggiungono solo fantasmi. L’attesa deve essere vuota, gratuita, non dettata dalla
richiesta, o viziata dai desideri, ma solo grata di ciò che vuole giungere. Attesa dell’imprevedibile insomma. Perché in fondo ‘Dio non ha lo scopo di dare a
ciascuno il suo, ma di dare a ciascuno se stesso’ (E. Ronchi).
Sì, l’attesa senza oggetto è apertura
all’imprevedibilità. Non attendo ciò che desidero, ma ciò che credo sia bene per me. Se il
viaggiatore s’attendesse di scoprire ciò che
crede di conoscere, non godrebbe mai della scoperta, ma farebbe solo turismo
intorno a cose già note. E cesserebbero di esistere gli esploratori.
Paolo
Squizzato
OMELIA 4a Domenica Avvento. Anno B
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