domenica 5 maggio 2019

Il primato petrino

Brano del commento di don Paolo Squizzato al Vangelo della III domenica di Pasqua:

[…] Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli».
Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie
pecore».
Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi» (Gv 21, 1-19).

Gesù in questo brano investe Pietro di autorità, gli concede il cosiddetto ‘primato petrino’: nasce il primo Papa della storia della Chiesa. Ma occorre comprendere bene qual è il significato di questo primato. Non essere il primo sugli altri, non esercitare un potere a scapito dei sudditi, non giudicare, non condannare… ma semplicemente:
essere nella Chiesa testimone di ciò che si è sperimentato di Dio nella propria vita, nella propria carne, ossia che il Dio di Gesù Cristo è solo perdono, misericordia e amore. Pietro, al termine della sua esperienza col Gesù di Nazaret, ha finalmente
imparato che si conoscerà Dio solo sperimentando nella propria carne il suo amore nell’inimicizia, il suo perdono nell’imperdonabilità e la sua misericordia nella miseria.
Questo dovrebbe essere l’unico compito del Papa e di conseguenza della Chiesa intera.
Testimoniare l’Amore, a patto che prima se ne sia fatta esperienza nella propria carne; essere immagine del Dio-Amore nella storia quotidiana degli uomini. Allora il mondo forse comincerà a credere in Dio perché finalmente crederà all’amore. Il mondo crederà in Dio non perché proclamato da una schiera di venditori di dottrine spacciate per Verità, ma perché incarnato, reso presente in uomini e donne credibili che hanno fatto della loro vita un faticoso tentativo di amore, perdono e misericordia.

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