martedì 9 marzo 2010

Sui bianchi prati d'asfodelo


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Presso una fontanella del viale centrale del cimitero della mia città natale, mi apprestavo per la terza volta a riempire l'innaffiatoio, ormai scolorito come le tombe. 
Si avvicina un signore con una bottiglia di plastica. Gli faccio cenno che può riempirla. Il robusto cinquantenne, con la giacca scura che tiene in mano e con la camicia bianca sudata, mi fa capire che può attendere. Riconosco Bruno, l’ho incontrato chissà quanti anni prima. Lui, indicando il cancello d'entrata: “Non c'è giorno che per questo cancello non entri qualcuno!”.
Lo ascolto, senza controllare a che livello è arrivata l'acqua nell'innaffiatoio. Il mio interlocutore, poggiata la bottiglia su una tomba si toglie la cravatta nera, sbottona collo e polsini della camicia e, fattosi più vicino, domanda: “C’è un luogo dove si compiono le storie? Esistono i prati di asfodelo dove ci incontreremo dopo la morte?”.
Resto in silenzio. Lui, annegato nei propri pensieri, con un volto improvvisamente serio: «Se n’è andata. Proprio quando l’avevo ritrovata! Aveva 15 anni quando quando l’ho conosciuta. Io ne avevo dieci di più. Capitai alla festa di una sua compagna di scuola. Clelia scherzava con me come con tutti. Ma quella ragazza libera e felice cominciò a turbarmi.
Seduti sul gradino del marciapiede arrivavano fino a noi le canzoni dal giradischi a tutto volume. Era impacciata, forse non si sentiva a suo agio. Non era una bambina, ma non sapeva comportarsi da donna. Le chiesi di ballare la mia canzone preferita “Liebelai”.
Sul marciapiede, lontani da tutti gli altri, non dovetti insistere. Ballammo e mi sembrò di avere tra le mani un fragile pulcino. Per me era sognare, per lei forse un gioco.
Con il passare dei giorni le immagini di quella sera mi si ravvivavano nella mente come rimproveri. Come se avessi fatto tutto per costruirmi un sogno ed avevo usato anche lei. Ma la sua ingenuità mi bruciava. Cominciammo a frequentarci. Clelia sapeva che il significato del suo nome greco è gloria. Ma fui io a farle capire che quel nome esprimeva esattamente quello che era, la sua gioia, la pace che trasmetteva agli altri. E il mio amore la accese, fu il suo primo amore e forse l’unico. Ho rispettato i suoi tempi. Quando, dalla città dove facevo ricerche geofisiche, tornavo ad Agrigento per rivederla, sapendo che aveva da studiare per gli esami, le correvo dietro soltanto per augurarle successo. Sull’unica foto che mi regalò c’è lei sui bianchi scogli della Scala dei Turchi che guarda lontano, verso il mare. Le chiesi una dedica e Clelia scrisse il titolo di un film “Il vento non sa leggere…”. Nient’altro. 
Nessuno prima di me le aveva fatto sentire quali capacità e talenti avesse. Nessuno come lei mi ha fatto misurare i miei limiti, la mia mediocrità. È questo che ha innescato la miccia che ha fatto crollare qualcosa che si prometteva eterno. Eravamo specchio l’uno all’altra e la verità ci faceva male. Il nostro amore non fu capace della verità.
Ma non è stato questo il fossato che ci ha divisi. È stato Dio a dividerci. Lei credeva in Dio e io ridevo della sua irrazionalità. La spingevo a uscire dalla stagione delle favole e diventare donna con me, per me. Questo divario fu più profondo del fossato creato dalla vergogna del mio grigiore di fronte alla lucentezza disarmante della sua serenità. Vinceva perché non le importava vincere. Ho cercato tutto il negativo che potevo trovare in lei per non sentire il bruciore della gelosia.
Così giorno dopo giorno i fili di una grande storia annunciata si sono consumati e non ho impedito che Clelia uscisse dai miei giorni. Facilmente rimossi ogni ricordo come si nasconde un lato vergognoso della propria vita. Quando si è proiettati verso la propria realizzazione non immaginiamo che il futuro si conformerà sempre di più ad un sogno segreto.
Ho fatto la mia carriera. Ho una famiglia che mi dà tanta gioia. Quando la mia terza figlia cominciò il liceo classico, ecco che una delle insegnanti fu Clelia. Ci presentammo come i genitori di Alessandra. Da decenni non la vedevo. Lei, con la grazia raffinata dal tempo, ci parlò della nostra bambina come noi genitori non avremmo saputo fare.
Un giorno mia figlia ci disse che Clelia mancava da settimane e che avevano già un supplente. Quell’assenza come un tarlo cominciò a scavare nei miei penseri ed ebbi la percezione che rendesse instabile la terra che mi sosteneva.
Seppi che Clelia era gravemente malata. Mi offrii di accompagnare mia figlia a visitare la sua insegnante in un ospedale lontano.
La trovammo serena e sorridente. Alessandra parlò a lungo con lei, mentre io nel corridoio di quel luogo così distante dal rumore quotidiano, le osservavo. Quando la salutai, avrei voluto abbracciarla e non lasciarla più.
In macchina Alessandra era pensierosa: “La prof mi ha detto che ciò che divide gli uomini non sono le idee o una fede ma la paura della verità. Mi ha detto che la vita è una lotta e che l’unica forza vincente è l’amore e che esso scioglie anche il buio che è dentro di noi. Anche la malattia è un buio che ora ha preso per lei la maschera della morte. Mi ha abbracciata raccomandandomi di osservare il vento che non sa leggere… ma sa sradicare le querce!”».
Bruno riempì la sua bottiglia che gocciolò per un po’. Le sue lacrime luccicarono ai caldi raggi di un sole che si stava affrettando ad uscire dal calendario per andare a diffondere pace sui bianchi prati di asfodelo.


Foto mia
Apparso su Città Nuova n° 11/2009

4 commenti:

Giovanna Maria ha detto...

Altra dimostrazione scientifica per me che il caso non esiste!!! =)
Ho avuto tra le mani questo tuo articolo e ne ho evidenziato alcune bellissime frasi!!!
L'ho riletto con la stessa emozione, grazie!!!
giovannamarian@gmail.com

Anna ha detto...

Mah, forse forse non è vero che "l'ha persa quando l'ha ritrovata", forse è vero il contrario ovvero "che l'ha ritrovata, quando pareva di averla persa per sempre".
La bellezza di certe persone si diffondono, sono sempre presenti e non si perdono mai. La bellezza di Clelia non di è fermata a Bruno, ma è andata a posarsi sul suo cuore di papà, è andata a posarsi su sua figlia. Esiste un dono più grande? La cosa più immediata che Bruno avrà vissuto sarà stato il rammarico, ma la cosa che Bruno vivrà per sempre sarà la gioia di aver conosciuto una persona che - comunque sia e dai ricordi dettagliati di Bruno - ha lasciato parole piene di luce e di verità.

E' vero però che è la Verità che POTREBBE DIVIDERE ... ma solo per chi non vuole conoscere la Verità ... anche se è vero che la Verità (come la Sapienza biblica perchè E' sapienza biblica) si rivela anche a chi non la vuole ... prima o poi si rivela.

Di tutta questa tenerissima storia, però, lo scenario di fondo è un'infinita tenerezza, un'enorme misericordia e tanto tanto desiderio di armonia.

Ne avessimo di più di "Clelie" e di "Bruni" in giro!!!
Ah! L'amore perfetto è proprio quello in cui si diventa specchio per l'altro ... trasparenza per l'altro. Miracolo splendido, ma anche spaventoso che richiede coraggio ed umiltà.

gaetano ha detto...

Ciao caro Tanino innanzitutto complimenti per il blog e per le belle cose che scrivi.
Un racconto veramente emozionante, reso ancora più intenso dal tuo modo sublime di scrivere e di descrivere.
:-)
Un caro saluto Gaetano.

Coral Vozes do Estoril ha detto...

Ciao carissimo Tanino Che bello aver trovato questo tuo blog... Lo accompagno e oggi ho visto il filmetto della tua intervista in tv... Bello quando ricordi Loppiano come una scuola per la vita - l'abbiamo fatta assieme. Ti ricordi?
Ed ecco un'altra bellissima sorpresa: la biografia di Sergio Infantino con chi ho avuto la fortuna di condividere i dolori e llegrie della mia particolare situazione nel 74 - 75... Sarei felice di aver questo libbro. Lo cercherò quando vengo all'incontro dell'EdC. Tutta la mia unitá, Joca (Portogallo)