C’era un fiume che tutti chiamavano Azzurro perché rifletteva il cielo come nessun altro corso d’acqua sapeva fare. Azzurro attraversava paesi e città e dappertutto era accolto con gioia e canti e musica. Passava anche per una città triste e allora le sue acque diventavano grigie e scure. La gente si odiava a tal punto che tutti i ponti del fiume erano stati distrutti e gli abitanti avevano piantato lungo le rive alberi alti e forti per non vedersi. Così per anni e anni gli alberi crebbero, i cespugli divennero folti, spessi e pieni di rovi. Ma la cosa più triste era che perfino gli alberi di una riva odiavano quelli dell’altra riva.
La gente si dimenticò del fiume e così tanti vissero e morirono senza sapere che esisteva l’altra riva.
Un giorno, dei bambini che giocavano a nascondino, riuscirono a oltrepassare il fitto muro di siepi selvatiche e di alberi vecchi e stanchi e, per la prima volta nella loro vita, videro il fiume.
Alla loro meraviglia il fiume divenne azzurro, si fermò e con i suoni delle onde raccontò loro che c’erano grandi e belle città dove lui passava, città piene di ponti e di barche, dove la gente si amava ed era felice. I bambini si guardarono, si sedettero sulla riva e cominciarono a pensare come far diventare felice anche la loro città. Ma non sapevano da dove cominciare.
Azzurro disse loro:
«Vi aiuto io! Cercate dei tronchi forti e robusti e delle liane. Legateli ben bene e io vi porterò in posti meravigliosi».
Ma dove trovare i tronchi?
I bambini si misero a cercare ma di tronchi non ne trovarono. Raccolsero soltanto legna molto vecchia e frasche e rametti secchi. Si misero al lavoro e dopo giorni ecco una bella zattera. I bambini vi salirono subito sopra e la zattera allegramente li portò a vedere paesaggi nuovi, alberi mai visti, fiori coloratissimi e profumati.
Poi, aiutati da Azzurro toccarono l’altra riva dove uccelli splendenti cantavano al sole e all’acqua.
I bambini giocarono a girotondo e cantavano. A un certo punto si accorsero che attorno a loro c’era un girotondo ancora più grande: erano i bambini dell’altra riva che udito il loro canto avevano oltrepassato la siepe. Divennero amici. Quando fu l’ora di tornare a casa, si salutarono con la promessa di ritrovarsi il giorno dopo all’altra riva. E così fu: un giorno alla riva destra, un giorno alla sinistra. La zattera portava i bambini che imparavano nuovi giochi ed erano felici. E tutti ormai avevano imparato la canzone che la zattera intonava mentre li trasportava.
I genitori di tutti i bambini si accorsero che i loro figli erano felici, ma nessuno seppe perché.
Passarono giorni e stagioni e la zattera divenne vecchia e stanca.
Un giorno i bambini delle due rive arrivarono pieni di gioia ma non videro la zattera.
Il fiume allora disse:
«Cari bambini, dovete sapere che la zattera essendo ormai vecchia e stanca, da tempo andava ogni notte dagli alberi a chiedere qualche ramo nuovo e qualche liana per legare i pezzi deboli. Gli alberi, vedendo che univa le due rive nemiche, non hanno voluto aiutarla. Ora, non avendo più le forze di trasportarvi e temendo che vi succedesse qualcosa, si è allontanata».
«E dov’è adesso la zattera?» chiesero.
«Venite con me».
Azzurro li condusse verso un punto della riva dove si poteva vedeva la zattera che si dibatteva in mezzo alle onde. Piangeva ma non voleva che i bambini soffrissero nel vederla in quello stato. Le onde cercavano di consolarla.
E mentre piangeva raccomandava di volersi bene e di non fare come i grandi. Poi l’acqua cominciò a entrare tra un legno e l’altro, la voce della zattera divenne sempre più gorgoglio d’acqua, le liane si sciolsero e lentamente, lentamente la zattera scomparve tra le onde.
Anche i bambini piansero di dolore. L’acqua del fiume divenne grigia e gli uccelli smisero di cantare.
Gli alberi che non avevano voluto aiutare i bambini, vedendo con quale amore la zattera li aveva protetti dal pericolo, decisero di andarla a pescare in fondo al fiume. Così uno, poi un altro, da una riva e dall’altra, gli alberi piegarono i loro tronchi e con i loro rami si misero a cercarla in fondo al fiume. Ma non la trovarono.
Cerca e cerca, lì in fondo alle acque i rami degli alberi delle due rive si toccarono, dapprima cercarono di evitarsi, poi fecero finta di niente, poi si strinsero le mani, cioè i rami, si legarono stretti perché così sarebbero stati più forti per prendere la zattera.
I bambini intanto chiedevano se avevano trovato qualcosa.
Gli alberi si sollevarono e dissero: «Sì abbiamo trovato un tesoro, un grandissimo tesoro che ci ha regalato la zattera: ci ha fatto scoprire che siamo fratelli, che dobbiamo volerci bene, anche se gli uomini si odiano e costruiscono confini e steccati».
E rimasero abbracciati con i loro rami.
Ma quale fu la meraviglia? Gli alberi, così legati sentirono sulla loro schiena qualcosa che correva velocemente da una parte e dall’altra. Erano i bambini che visto quel ponte fatto dagli alberi, corsero dall’una all’altra riva, così per tutta la giornata fino al tramonto.
Quando scese la sera i genitori cominciarono a cercare i propri figli. Non trovandoli subito, si spinsero fino agli alberi e dal vocio, capirono che avevano oltrepassato la siepe. Qualche papà cominciò a tagliare pezzi di siepe mentre le mamme con le torce accendevano i rami secchi.
Ben presto dall’una e l’altra riva i genitori videro uno spettacolo mai visto. I loro figli passavano di qua e di là, senza paura, sugli alberi piegati che formavano tanti e tanti ponti.
Allora passarono anche loro e, quando furono al centro dei ponti, si strinsero la mano e decisero di dichiarare la pace.
I bambini applaudirono di gioia e cominciarono a cantare la canzone della zattera.
Tra i papà c’erano i sindaci delle due città nemiche che decisero di costruire subito un ponte grande e sicuro e fare delle due, una città sola, come era stata tanti e tanti anni prima.
Il fiume, commosso di gioia, cominciò a luccicare di stelle, di luna e del fuoco che lungo le rive le mamme avevano acceso.
Qualcuno andò a prendere strumenti musicali e tra canti, luci e musica arrivarono presto barche dalle altre città. E tutti fecero una grande festa e danzarono tutta la notte.
I grandi erano felici, più felici i bambini. Ma improvvisamente un dolore li prese: E la zattera, dov’è andata a finire?
Un gufo allora volò sopra di loro e i bambini lo seguirono con lo sguardo e poi si incamminarono verso il posto dove il gufo era volato. Da quel punto della riva videro navigare verso di loro la zattera, era come se avesse un vestito nuovo. Era sempre la stessa zattera, ma era tutta riparata. Dapprima non disse niente, era commossa pure lei, poi disse: «Quando ho visto che i rami si erano ritrovati amici, ho pensato che era meglio lasciarmi trasportare fino al mare, ma delle marmotte, che hanno visto quanto bene mi volete, con una diga ben intrecciata mi hanno raccolta e poi ricostruita. Eccomi qua, per continuare trasportarvi dove volete voi».
Anche la luna si commosse e, mentre la zattera portava i bambini dove c’era la festa, brillò così fortemente che il luccichio delle gocce sulla zattera rimase fisso come fossero perle accese.
Quando la gente della città vide arrivare la zattera carica di bambini, scoppiò un grande applauso che fu talmente grande che si udì anche da altri paesi e città. Azzurro allora, grato e felice, continuò a scorrere verso altre città e verso altre storie, lasciando in festa la città unificata. I sindaci allora decisero che il nome della città sarebbe stato: Zattera Azzurra.
3 commenti:
Ciao caro Tanino, mi meraviglio e resto affascinato dal tuo modo di raccontare.
E' proprio vero, la forza dell'innocenza è tale da sconfiggere il male che si annida nel cuore degli adulti.
Forse, nelle sale dei bottoni e nei vari parlamenti dovrebbero sedere proprio i bambini, nella speranza che non diventino adulti o che tardino questa inevitabile metamorfosi.
:-)
Un caro saluto Gaetano.
"Qualcuno" che la racconta giusta infatti l'ha detto bene "se non diventerete come bambini, non entrerete" MAI!
Grazie perché questi tuoi racconti ci aiutano a diventarlo!
Ciao Tanino, dopo lungo silenzio e 'avarizia' di commenti, ti scrivo per ringraziarti di questo racconto. Toccante e ... vivificante.
Buona giornata.
Francesco.
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