Ti è mai capitato davanti a un giornale aperto di desiderare ardentemente che le cose vadano in altra direzione?
Ti sei mai sentito in colpa di fronte alle lacrime di una vittima dell’ingiustizia e della prepotenza?
Ti sei mai chiesto quando comincerà il giorno nuovo?
E sogni un mondo diverso, segui la dolce melodia dei politici, dei profeti di capodanno, delle star al concerto di beneficenza, dei predicatori dai denti scintillanti.
Le parole ti sollevano, delicatamente, con mani leggiadre. Le parole ti cullano. Ti lasci andare. Scivoli sulle parole mentre le parole scivolano su di te.
La corrente ti trascina lontano, lontano. Un torpore senza margini ti suggerisce di dormire ancora.
Ti svegliano clacson agitati. I colori del nuovo giorno hanno il tono di grigio intenso, meno intenso, forte, delicato… ma sempre grigio.
Dove avviene la storia?
Per un po’ pensi di aver indovinato chi ha in mano le redini della vita.
Ora vaghi nel tunnel dei clacson e delle vetrine che scintillando s’inclinano a te.
La gente compra come se domani finisca il mondo.
Tu non compri nulla: ormai nessuno attende da te delle cose, attende la parola.
Pregare è un’arte che si può imparare. Le formule sono solo delle tracce, sono come lo spartito, ma lo spartito non è la musica.
Per me pregare significa raggiungere il silenzio e mettermi in ascolto. È un incontro con Qualcuno che con la sua vicinanza disperde ogni nebbia e mi aiuta a vedere il senso e il significativo legame tra gli accadimenti.
Sono convinto che l’equilibrio del mondo dipenda dalle persone che pregano.
sono stato invitato a un forum, a Roma, sull’uso dei media, per iniziativa di Città Nuova.
Mentre raccontavo la mia avventura con il blog, era vivo un senso di gratitudine per ciascuno di voi che mi sostenete e, come ho già detto, sono convinto che il blog è una polifonia, è un’opera eseguita a mille mani.
Rolland mi aveva chiesto, tempo fa, cosa leggo. In questi giorni ho riletto Non vedo l’ora che l’uomo cammini, di Susanna Tamaro. Una collana di perle di saggezza da ammirare una ad una. È un viaggio che sembrerebbe datato e legato a stagioni, invece – e questa è la sua originalità – è come se la Tamaro usasse fatti e luoghi come pedana di lancio, per prendere il volo.
Intelligente e arguta, la Tamaro usa con destrezza le parole, veicoli di pensiero e di riflessione profonda.
Poi ho letto A un passo dal baratro, di Paolo Brosio. Che dire? So di certo che tanti storceranno il naso e fischieranno guardando il nulla. Ma qui c’è un fatto, una serie di eventi precisi. Quello che commuove è la grande sincerità di Brosio che pur di essere luce per altri, denuda la sua fragilità.
C’è solo da ringraziarlo per il coraggio. Ne parlerò più dettagliatamente.
Ho letto quasi senza interruzione, anche perché dovevo restituire il libro, il romanzo di Stefano Redaelli, Chilometrotrenta, accorato trasferimento poetico di fatti vissuti e sofferti. Redaelli, che conosco personalmente, oltre a un bagaglio ricco di esperienze di vita, è un cultore della parola e la “maneggia” con maestria.
Sto leggendo anche un capolavoro di Flannery O’Connor, La saggezza nel sangue. Le opere della O’Connor sono per me una minera.
Questo per dire a Rolland che non ho dimenticato il suo suggerimento.
Solo per oggi
Solo per oggi crederò fermamente,
nonostante le apparenze contrarie,
che la Provvidenza di Dio si occupi di me
come se nessun altro esistesse al mondo. Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata
senza voler risolvere i problemi della mia vita
tutti in una volta. Solo per oggi farò almeno una cosa
che non desidero fare,
e se mi sentirò offeso nei miei sentimenti,
farò in modo che nessuno se ne accorga. Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto:
vestirò con sobrietà,
non alzerò la voce,
sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno,
non cercherò di migliorare o disciplinare nessuno
tranne me stesso. Solo per oggi sarò felice nella certezza
che sono stato creato per essere felice
non solo nell'altro mondo,
ma anche in questo. Solo per oggi mi adatterò alle circostanze,
senza pretendere che le circostanze
si adattino ai miei desideri. Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo
a sedere in silenzio ascoltando Dio,
ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo,
così il silenzio e l'ascolto
sono necessari alla vita dell'anima. Solo per oggi, compirò una buona azione
e non lo dirò a nessuno. Solo per oggi mi farò un programma:
forse non lo seguirò perfettamente, ma lo farò.
E mi guarderò dai due malanni:
la fretta e l'indecisione. Solo per oggi non avrò timori. Posso ben fare per 12 ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare tutta la vita. Papa Giovanni XXIII
Tra i commenti precedenti, quello di Ferruccio che mi chiede se ho il progetto di raccogliere e pubblicare quello che appare nel blog, rispondo che Città Nuova ha già raccolto alcune delle esperienze apparse sia nella rivista che nel blog in un libretto “Regista invisibile”.
Per quanto riguarda le favole sto vedendo come fare. Ho già le illustrazioni di molte, ma ancora non ho trovato la forma migliore.
Intanto ringrazio della forte e appassionata collaborazione. Lo ripeto per l’ennesima volta: il blog lo facciamo insieme.
Ne approfitto per ringraziare quelli che mi mandano delle reazioni dopo la lettura delle esperienze e, la cosa più avvincente è che spesso anche loro mi raccontano il loro vissuto.
Ero stato a Monaco di Baviera e, passando per l’Austria, tornavo in macchina verso l’Ungheria.
Mi teneva sveglio uno spettacolo di lontani fulmini di tutte le combinazioni e grandezze. Tuoni fragorosi rimbombavano per lo spazio oscuro. Non avevo mai assistito a un tale spettacolo.
Pensai a mia nonna che aveva paura dei tuoni. Dietro la grande porta della sua camera c’era un baule antico che lei teneva sempre chiuso a chiave. Quando c’erano tuoni e lampi, lei si andava a sedere sul baule, con la porta aperta a riparo e cominciava a pregare. Quella misteriosa cassa, quei rumori minacciosi, l’ampio scialle di lana calda che copriva anche me, tutto era incanto, tutto era meraviglioso. E mentre lei, con giaculatorie in siciliano, invocava san Gerlando che facesse passare la tempesta, io speravo che durasse più a lungo possibile.
Sorrido al ricordo.
Vedo da lontano una macchina ferma con i segnali intermittenti. Rallento e mi ci fermo davanti.
Una famigliola apre il finestrino a sinistra e mi comunica che sta attendendo il carro attrezzi per un improvviso guasto. Mi ringraziano e mi offrono del tè caldo. Sorseggio la bevanda calda mentre ascolto dei bambini seduti nei sedili posteriori che vivacemente conversano con la nonna.
Uno di loro sta chiedendo di quale albero sono le radici che si vedono illuminate in cielo.
La nonna, senza sorpresa, afferma che sono le radici del cielo che scendono nel cuore della terra per rendere stabile il cielo. I bambini tacciono e continuano a guardare lo spettacolo di luci sempre nuovo e forse stanno immaginando la maestosità di un albero, immenso come il cielo. Dopo aver salutato e ringraziato la famigliola, torno in macchina e riparto.
Le radici del cielo! Non ci avevo pensato. Quando ci sono le tempeste, le radici del cielo diventano visibili, ma in quel momento non si vede la chioma. Nello specchietto retrovisore diventa sempre più lontana la macchina con la nonna delle risposte eppure quella delle radici del cielo mi è sembrata la spiegazione della mia vita. Le grandi tempeste mi hanno sempre fatto intravedere le radici del cielo.
Avevamo sempre studiato insieme e insieme avevamo tanto giocato, parlato, girato per la città. Avevamo scherzato e riso come lo sanno fare gli amici complici.
Un giorno, durante un’interrogazione di letteratura francese lo vidi pensieroso. Non ricordava nessun nome e nessuna data. Non gli veniva in mente neanche quello che sempre aveva saputo. Mancò alle lezioni uno, due, più giorni. Al telefono non riuscii a raggiungerlo. Andai a casa sua. La madre mi accolse con la cordialità con la quale mi aveva sempre trattato e mi disse che Marco era nella sua camera.
Entrai salutandolo con il nostro saluto militare. Lui mi rispose con un sorriso molto affettuoso. Ma non disse nulla. Mentre gli raccontavo tutto quello che stava succedendo a scuola e delle ultime urla del professore di matematica lui mi guardò come se parlassi di cose del tutto nuove. Poi mi chiese:
“Al duomo di Milano hanno già finito la partita di calcio?”.
“C’era una partita?”, gli chiesi pensando che volesse indicare la piazza antistante.
“Ho saputo che lo stadio di San Siro è stato trasferito in una cappella laterale del duomo e che domani ci sarà la corsa delle tortore azzurre”.
“Il volo delle tortore, volevi dire?”.
“Sì, il volo dei delfini bianchi!”.
“Sei sempre il solito burlone!”, gli dissi ridendo.
Ma lui non capì il mio divertimento e aggiunse:
“Sabato, al sole di mezzanotte, scenderemo sulla Tour Eiffel e potremo così tuffarci nell’Atlantico”.
“Marco, dici sul serio?”.
“Se non arrivi in tempo, la terrazza sarà piena di pellicani e non ci sarà posto per noi”.
Non sapevo più cosa dire.
Marco, finì di buttare nel cestino dei rifiuti i libri di scuola che prendeva uno ad uno dalla libreria, poi si sedette davanti a me che ero ancora in piedi e mi invitò ad accomodarmi sulla porta.
Non sapevo cosa fare. Mi sedetti a terra come eravamo soliti fare e Marco continuò:
“Un secolo fa, quando vedremo Rosanna le sveleremo che sulla sua casa è piovuto il terremoto e tutte le talpe si stanno trasferendo in Australia”.
“Sì, certo l’avvertiremo. Ne sarà grata!”.
“Sta aspettando la notizia. Il gabbiano mi ha già telefonato per dirmi che sua nonna si è nascosta dentro la caffettiera del caffè. Dobbiamo dirglielo!”
“Faremo anche questo!”.
Marco si tranquillizzò. Poi chiamò la madre per dirle di portarmi un mattone rosso perché sicuramente avevo sete”.
Avevo sete, eccome!, di sapere cosa stava succedendo nella testa di Marco che intanto si era diretto verso l’armadio per aprirlo.
“Che aria pura su questa collina! Quanti bambini stanno volando! I loro aquiloni hanno invaso il supermercato e il direttore per la rabbia si sta tuffando nel gelato al peperone”.
“Chi ti dice queste cose?”, gli chiesi.
Marco, sorpreso, mi guardò negli occhi. Era il Marco di sempre. Non era cambiato. Era proprio lui. Solo che ora scambiava posto alle parole e siccome era mio amico volevo parlare la sua stessa lingua. Volevo continuare a comunicare con Marco.
Allora gli chiesi se l’astronauta avesse già telefonato ai pellicani per la festa nella reggia di re Luigi XIV.
Marco mi rispose che non ne sapeva nulla ma che bastava chiedere al cane del vicino. Quello abbaia tutto.
Continuammo a comunicare tutta la sera. Vedevo che Marco si sentiva libero e felice ed io stavo imparando la lingua che aiuta a comunicare. Mai mi ero sentito così in sintonia con lui.
Avevo preso l’abitudine, quando avevo qualche ora libera tra le lezioni, di girare in un vicino mercatino dove si trovava molta roba buona proveniente dalle boutiques. E con i colleghi della scuola era diventata quasi un gara comperare capi di vestiario molto belli a prezzi stracciati.
In quella via c’è anche una chiesetta e quella mattina, come altre volte, vi entrai. Ma non fu come le altre volte. Mentre cercavo di raccogliermi e fare in me silenzio, una voce mi parla: “Dammi le redini della tua vita”.
Il silenzio attorno a me divenne denso e, stupito dell’irruzione di una tale proposta, cominciai a ripassare la mia vita. Mi sembrò che ogni cosa che avevo fatto fosse stata sempre finalizzata a possedere la mia vita, a gestirla nel migliore dei modi. Ora si trattava di lasciarmi guidare da un altro e i miei programmi abbandonarli con fiducia nelle mani di un altro che li avrebbe potuto cambiare. Si trattava di cominciare ad agire non più secondo i miei gusti e le mie convinzioni ma cercando di capire le attese degli altri.
Lentamente quell’idea si fece spazio nella mia mente e mi sembrò che la mia vita avrebbe potuto avere una nuova avventurosa svolta.
Non ricordo se presi qualche decisione, ma furono le circostanze ad aiutarmi a capire da chi poteva essere arrivato quel suggerimento.
Tornato a casa trovo un telegramma dal Ministero degli esteri che mi accordava la borsa di studio per la quale avevo concorso. Si sarebbe aperta, nel giro di poco tempo, una nuova pagina della mia vita e diventava necessario, per la nuova stagione, che le redini della mia vita fossero nelle mani di un altro.
E ho visto che quest’altro non si sbaglia, anche se talvolta seguirlo costa fatica.
Qualche giorno fa ero a Firenze e una cugina mi regala un libro “non scritto” con un’elegante copertura di cuoio. Le solenni pagine di carta anticata provocano l’idea di scrivere il libro della mia vita e cioè di annotare soltanto quelle parole che hanno guidato i miei passi e mi hanno maturato a una conoscenza e a una felicità non prevedibile. E sulla prima pagina ho scritto: “Dammi le redini della tua vita!”
"Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio"