domenica 14 febbraio 2010

Rimane soltanto l'aver amato

 
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Maria cominciò così il suo racconto: «Un giorno cercavo tra gli annunci di una rivista qualche offerta per un conoscente rimasto senza lavoro e, tra mille offerte, mi colpisce la foto di qualcuno che sta cercando l’anima gemella. Un signore di mezz’età, distinto, di una tristezza pesante e uno sguardo buono. Giorgio si descrive geloso, possessivo, in cerca d’amore… Non rimasi indifferente a quegli occhi tristi».
La conosco da quando frequentavamo l’università a Roma e ora l’ho rivista dopo quasi trent’anni, nel corridoio di un ospedale di Firenze, dov’ero andato a trovare un parente. Non più giovane ma sempre bella, dignitosamente elegante, senza niente di superfluo. In un bar vicino all’ospedale seppi della sua vita.
«Giorgio rispose al mio messaggio e dopo vari scambi per via elettronica e qualche telefonata capimmo che era arrivato il tempo di incontrarci. Lui, per il suo lavoro, non poteva allontanarsi dal suo paesino e mi chiese di raggiungerlo.
Il ristorante dove ci sedemmo non era lontano dalla pensione che mi aveva prenotato. Lasciai ordinare a lui. Aveva gusti semplici, come me. Per il vino fui io a decidere, e non era difficile dato che eravamo nel territorio del Chianti.
Improvvisamente mi trovai senza parole e tale fu Giorgio. Mi ero già resa conto, dalla concisione delle sue comunicazioni e dai silenzi durante le telefonate, che era un tipo di poche parole. Ma ciò che fu strano è che la mia testa, così ricca di idee e fantasia si trovò del tutto in bianco.
“Vedi, Giorgio, mi sembra di non sapere più perché io sia venuta qui. Il fatto che tu esisti è come se scomponesse un sogno che ho gestito da sola, una storia che mi sono costruita io, qualcosa che faceva parte della mia vita, dei miei sogni, dei miei possessi. Quel Giorgio che mi ha accompagnato finora abitava nella mia casa, nei miei sogni, nelle mie abitudini. Ed ora?  Stai davanti a me …!
È pesante lo spessore della solitudine che da anni si stratifica su di me.
Dopo l’incidente che ha strappato da me marito e figlia, non so cosa significhi essere amati. Sono piena di incertezze. Finché ero in viaggio per venire qui non avevo certi pensieri, ma ora …”.
Il giorno dopo, quando venne a prendermi alla pensione, ero già pronta. Una delle glorie della Toscana, sono i paesini adagiati sulle colline. Giorgio guidava bene, senza fretta. Gli occhiali da sole gli stavano bene. Gli dissi che, nonostante tutto, quell’inserzione che aveva fatto nella rivista non la capivo. Anzi gli dissi che cominciava a darmi fastidio.
“Eppure ci ha fatti incontrare!”.
“Sì, hai ragione. Ma che bisogno avevi di metterti così in mostra? Di gridare ai quattro venti che sei geloso, possessivo, romantico? Volevi trarre nella trappola qualche colomba solitaria?”.
Giorgio si tolse gli occhiali per guardarmi meglio o per farmi vedere che era stupito dal tono delle mie domande.
“Cara Maria, abbiamo storie diverse. La tua è lineare, pur con le scosse tragiche che ti hanno fatta rinchiudere in una torre d’avorio. La mia è movimentata. Molto movimentata. Ho scritto quell’annuncio quasi come un automa. Fu durante le feste di Natale. Una solitudine feroce. Nel mio paesino tutto è circoscritto. Sappiamo tutto di tutti. Pur stimato per il mio lavoro, non sono ben visto per il mio passato da sessantottino ribelle. La generazione degli attuali padri non mi ha mai perdonato un tentato attacco terroristico dove mi hanno implicato. La generazione dei figli non mi calcola. Faccio parte del passato. Come i vecchi monumenti. Servono soltanto ai colombi. Sono stato in carcere. Ho scontato una colpa non mia. Uscito dalla prigione mi sono ritrovato nel deserto, non avevo più né amici, né parenti.
Mi impiegai in banca perché era il posto di mio padre e da allora vivo come un beneficiato. Sono stanco di essere beneficiato. Cerco l’amore non la beneficenza. Vorrei amare ed essere amato. Ai tempi del fattaccio, la compagna che mi aveva giurato amore eterno svanì nel nulla. Il padre, con tutti i soldi che ha, l’avrà fatta disintossicare e poi l’avrà sistemata con un matrimonio di rango. Sono passati gli anni. Non spero più. Spio la vita e sto a sbirciare se è capace di sorprendermi. Le parole che la gente dice non le capisco. Ormai vivo in terra straniera e non so se esiste una patria. I telegiornali sono insopportabile fantascienza. Ho visto passare la mia vita, non ho nessuno con cui vendicarmi. Tutti siamo innocenti, tutti siamo vittime!”.
Il volto di Giorgio si solcò di rughe di sofferenza e lo vidi guardare avanti, lontano. Mi assalì la paura che si allontanasse anche da me. Sentii di amare quel profilo sicuro mentre il paesaggio che lo inquadrava passava veloce. Le pupille verdi quasi nascoste dalle pesanti palpebre mi apparvero ancora più misteriose. La mia compassione divenne presto commozione. Gli presi la mano destra. L’aprì con  delicatezza.
Mi fece capire che era contento e grato.
Fu una giornata di gioia. Cominciò così quello che oggi posso dire un grande amore. Ci sposammo nel giro di sei mesi.
Poi una mattina mi hanno avvertito che era stato portato in ospedale per un improvviso malore. Lo raggiunsi, superando ingiuste barriere, in sala di rianimazione. Un’emorragia grave, purtroppo segnale di qualcos’altro.
Mi prese la mano con la sua delicatezza e mi ringraziò.
Dopo qualche giorno si è ripreso al punto che poteva stare nel reparto chirurgia. Avevo saputo che il tumore al colon aveva delle serie metastasi. Ne parlammo apertamente con Giorgio. Quel pomeriggio l’intero ospedale divenne la nostra casa. Eravamo noi la casa.
“Sai, Maria, ho vissuto questi tre anni con te in una continua luna di miele. Tu hai investito tutto su di me. Hai lasciato il tuo lavoro, la tua casa, la tua città. Hai messo in secondo piano le amicizie, le tue letture, tutto il tuo mondo. Ho provato l’ineffabile gioia di essere unico e necessario a qualcuno. Non hai mai fatto paragoni con tuo marito. Così giorno dopo giorno ho cominciato a guardare la realtà con occhi benevoli. Mi hai fatto rientrare nel giro dei parenti, anche gli amici sono tornati. Il dono prezioso che mi hai fatto è d’avermi aiutato a scoprire che gli altri hanno bisogno di me”.
Il suo sguardo oltrepassò la stanza e si disperse nel cielo grigio. Ero distratta dall’acerbo dolore di sapere che Giorgio aveva i giorni contati. Ma ero davanti all’uomo che aveva saputo tirami fuori dal pozzo del passato. Fissandolo negli occhi avrei voluto dirgli non so quali parole. Giorgio è un uomo felice».
Maria con me stava piangendo. Restai in silenzio. In certe occasioni le parole non si aggrappano al pensiero.
«Ricordi quando una volta ti dissi che non mi sarei mai sposata per non infossarmi nella tradizione borghese? Ricordi che ti dicevo che la nostra generazione sessantottina sarebbe stata quella che avrebbe illuminato passato e futuro? Che dovevamo cominciare a calcolare le epoche partendo dalla nostra? Quante cose insegna il tempo! Per fortuna lascia sbiadire e morire tutte le parole che diciamo. Rimane soltanto l’aver amato».
Si allontanò, senza voltarsi, verso la fermata del bus. Sempre dignitosa e nobilmente libera. Quando la rividi ai funerali del marito la trovai ancor più nobile. L’amore di Giorgio era visibile in lei. 

Foto di Maurizio Mosconi
Già apparso su CN n° 24/2007

2 commenti:

nicodemodinotte ha detto...

Saremo giudicati sull'amore.
Le opere conteranno poco di fronte all'amore, per l'uomo e per Dio, a motivo del quale sono state realizzate.
Grazie per aver raccontato questa bella storia.

Anonimo ha detto...

BELLO BELLISSIMO NELLA SUA SEMPLICITA'! MI HA SCALDATO IL CUORE E SAI IL PERCHE'? PERCHE ANCHE IO AMO UN UOMO CHE E STATO DENTRO !! E SPERO CHE LUI MI CORRISPONDA ! E VOGLIO REGALARGLI LA GIOIA DELL'AMORE !! CHE MOLTO SPESSO QUESTE PERSONE NON HANNO AVUTO ! GRAZIE .