lunedì 21 ottobre 2013

L’ineffabile gioia del perdono



Insegnavo “religione” in un istituto tecnico. L’inizio non fu facile sia per la complessità della materia, sia perché gli studenti avevano sempre considerato quell’ora come riposo o per studiare altro. Con fatica trovai un mio spazio e lentamente una vera intesa con gli alunni, ma non fu così con i colleghi, con uno in particolare. Un giorno in sala professori, con un tono di voce che potesse arrivare a tutti, mi disse senza guardarmi in faccia: “Ma tu, caro collega, non hai trovato un altro modo per rubare soldi?”. Non fu facile ma trovai come risposta una battuta che facesse ridere tutti. A un cineforum, dopo un mio intervento, si arrampicò sui vetri per dimostrare l’infondatezza di quanto avevo detto. Era evidente che ero il suo bersaglio.
A una gita scolastica, una notte il collega si ubriacò da non reggersi in piedi. Lo accompagnai nella sua camera. Stava male. Quando vomitò l’abbondante cena e l’alcool, cominciò a rendersi conto di chi stava accanto a lui. Imbarazzato, con la vergogna di un bambino, chiese perché non lo avessi mandato al diavolo. Era difficile spiegargli la gioia del perdono.       

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella storia e bella foto.
Tanino ciò che racconti ha del paradosso, ma hai vissuto così questo rapporto con il collega.
Anch'io sono insegnante e mi rendo conto che i nemici non sono i colleghi ma gli alunni: una generazione del disimpegno e della cultura spicciola.
Purtroppo dietro gli alunni ci stanno genitori frustrati che vogliono essere protagonisti attraverso il controllo degli studi dei figli, ma solo quando si tratta di reagire a note e voti negativi. Sempre assenti ma in certi momenti agguerriti difensori di principi altissimi...
Insomma la scuola non è missione, non è servizio ma un campo di battaglia.
Grazie comunque.Dalle tue storie si impara sempre.
Giorgio

Stefano ha detto...

In risposta a Giorgio vorrei dire che io sono della parte opposta, sono un alunno. Rammento che la nostra non è la generazione del disimpegno o della cultura spicciola. E' la generazione dei giovani abbandonati a se stessi, perché nessuno si preoccupa veramente della loro identità, della loro anima che in una società così meschina è facile se non certo che si perda. Lo dico perché l'ho constato ultimamente.. Miei coetanei che credevo "stupidi" o superficiali nel comportarsi, in realtà, covano in loro una grande carenza di vero affetto e valori veri. Allora per piacere non lamentatevi sempre di noi giovani, ricordatevi che nessuno nasce cattivo, svogliato, stanco etc. ma ciò è frutto di un'esistenza che a volte, e parlo anche per me, sembra assurda, soprattutto in una società consumistica e materialistica. E, permettetemelo di dire, non l'abbiamo creata noi!!