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Il teatro fu presto pieno. Il regista seguiva ogni passo, dirigeva ogni gesto. Ulisse, il prestigiatore, portò in scena un tavolo coperto da una tovaglia di velluto nero e una scatola dove teneva le carte, il cilindro, il coniglio e poi metri e metri di nastri colorati. Portò anche un lucente candelabro con tre grandi candele per illuminare il gioco.
In sala tutti stavano ad aspettare. Gigi con lo zufolo intonò il pezzo più bello che gli aveva insegnato il vento, mentre il piccione, al giusto ritmo, batteva su un tamburo che rimbombava bene, mentre il regista batteva le sue dita sui braccioli della sua poltrona.
Ulisse, con grande maestria, accese un fiammifero e subito ci furono applausi, gioia e attesa. La prima candela si accese subito e anche la seconda. La terza, che era molto vanitosa, vedendo che il fuoco cominciava a consumare le altre, non volle accendersi. Invano il prestigiatore strofinò altri fiammiferi. Niente da fare. La candela non si lasciò accendere. La seconda, vedendo con quale rapidità il fuoco mangiava la cera, si spense presto. La prima, unica rimasta a far luce era felice di aiutare il prestigiatore a dare gioia agli spettatori. I giochi, uno dopo l’altro, avevano ormai attirato l’attenzione del pubblico.
Nella sala il silenzio divenne così denso che tutti potevano sentire cosa stavano dicendo le candele. Quella scena non era prevista. Il regista era sorpreso.
La terza diceva: «Non vedete come il fuoco consuma? Di voi cosa rimane? Io sono rimasta intera e tutti possono vedere quanto sono bella e colorata! Vedrete che applausi riceverò».
La seconda, rimasta mezza bruciata e mezza no, era addolorata di non essere più intera. «Vedrete che mi farò ricostruire, più bella di prima. C’è un istituto di bellezza che fa miracoli!»
La prima era quasi alla fine, non aveva forza di ascoltare quello che dicevano le altre, ma era felice. Il piccione, allora, prese quell’ultimo pezzo di candela e in fretta volò ad accendere i lumi della sala e dei palchi. Acceso l’ultimo lume, la candela era già tutta consumata. In quel momento finirono anche i giochi.
Un grande applauso riempì la sala. Le due candele rimaste sul candelabro continuavano a fare inchini di ringraziamento, ma quando la sala si accorse di loro, l’applauso si trasformò in fischi e pernacchie e improperi. La candela mezza bruciata, quella poco coraggiosa, per la vergogna di non essere intera e bella divenne rossa. La terza, quella vanitosa, pensò che a lei toccasse il successo della serata perché era bella, intera, artistica, elegante, raffinata. Era convinta che gli applausi li meritasse soltanto lei. Era commossa del suo raro splendore. Ma Ulisse, senza nessun rispetto per la sua bellezza la buttò nel sacco dell’immondizia in mezzo a cartacce, torsoli di mele, fazzoletti di carta sporchi: «Tu non servi a nulla, brutta candela del diavolo, l’altra forse si accenderà, la tengo per un altro spettacolo!»
In sala tutti i personaggi, dai loro posti osservavano la scena. Poi il sindaco andò sul palco e disse:
«Parlo a nome di tutta la città. Stasera , voi candele, ci avete dato una grande lezione. Veramente una candela che non brucia non serve a nessuno. Chi brucia a metà forse può ricominciare. Ma la candela che si è consumata è lei che ci ha permesso di vedere i giochi e ci ha fatto capire che soltanto facendo luce ha dimostrato di essere candela, di fare l’unica cosa che sapeva e poteva fare. La cosa più importante della vita è capire cosa ha bisogno chi ci sta vicino e forse noi e soltanto noi abbiamo la possibilità di realizzarlo. La luce che non fai è gioia che non hai».
Gigi quasi senza accorgersene riprese a soffiare nello zufolo e tutti si alzarono e si misero a danzare con grazia ed eleganza. Sembravano onde del mare, fronde di alberi in festa, fiori dolcemente mossi dal vento. Quella musica aveva creato un tale silenzio e una tale bellezza che il regista si rese conto di non aver mai diretto scene così perfette. Era bastata una melodia?
Ulisse allora tirò fuori dalla sua scatola tutti i nastri colorati che presto si allungarono su tutta la sala e su tutti i palchi e da lì nei corridoi, per le scale, la gente uscì per le strade della città. La sfilata invase le vie come un ruscello. Ogni finestra si aprì e presto tutti gli abitanti della città furono sulle strade a fare festa.
«Che musica! Sembra di conoscerla da sempre!»
Il regista che assieme a Gigi seguiva lo spettacolo dal balcone disse: «Non ho mai diretto una scena così bella e così vera. Come sanno danzare bene! Come sono belli tutti!››.
Allora Ulisse, aprì un’altra scatola di nastri d’argento e d’oro e li lanciò dall’alto. Velocemente quei nastri riempirono le vie della città e alla luce della luna lanciavano riflessi sui monti e oltre, mentre Gigi commosso li accompagnava con la melodia che il vento gli aveva insegnato. La notte fu ricamata da un meraviglioso disegno di luce.
Favola trasmessa dalla TVLUX slovacca il 29 e 30 nov. scorso. Appena avrò fatto fare il doppiaggio in italiano la inserirò nel blog.
Acquarello di Eva Sladeckova
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