Mi sono
arrivati tanti echi al post sulla lettera della “ex monaca”. Sia come e-mail che come
commento lasciato sul blog.
Qualcuno
chiedeva se la protagonista era una novizia: sì, era una novizia non aveva ancora
fatto la professione solenne.
Ho
pubblicato la storia perché ha un aspetto importante che è spiegato nelle
ultime righe della lettera (le sottolineature e il grassetto sono miei):
«Forse qualcuno si chiederà se quello
che ho fatto è stato un passo indietro. Solo ora mi rendo conto che la vocazione è l’adesione al proprio vero
essere, già programmato per essere un messaggio. La vita claustrale,
inconcepibile nel rumore di oggi, è forse la prova più visibile della presenza
di Dio, della vicinanza di Dio. Le
monache sono delle antenne. La loro grandezza è aver creduto possibile una
richiesta apparentemente impossibile. Ho voluto raccontarti la mia
storia perché tanti ti leggono e vorrei far sapere a tutti che il bene non è quello che pensiamo e
vogliamo noi, ma è la presenza di Dio che è amore. Tutta l’arte della vita è
arrivare a mettersi davanti a questa “presenza” e avere il coraggio di
lasciarsi trasformare».
1 commento:
Ciao Tanino ieri ti ho chiesto se era novizia proprio per capire se poteva sposarsi.
Talvolta si possono fare le più belle esperienze del mondo, ma se diventano scappatoie a scelte che dovrebbero essere "per sempre" perdono di valore.
Te lo scrivo perché sto attraversando un momento difficile nella mia vita matrimoniale. Sarebbe più comodo mollare tutto ed andarsene, ma il sacramento del matrimonio è un "per sempre", per cui si "sta lì" (e tu sai dove) nell'attesa che dopo le spine arrivino le rose....
mn
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