Ieri sera sono stato a cena da una famiglia di amici. Quando hanno raccontato alcuni
momenti della loro vita, anche non facili, ho capito il perché di tanti amici
che li circondano e, soprattutto, perché riescano ad essere “padre e madre” non
solo per figli e nipoti, ma per tanti altri.
Tornato a casa, ho trovato un’e-email di un amico appassionato delle storie che scrivo su Città Nuova, che fra l’altro cita una frase di Gabriel Garcìa Màrquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per narrarla” per dire che in fondo ogni storia che raccontiamo rivela chi siamo, non tanto per come abbiamo realmente vissuto certi momenti, ma per come li ricordiamo.
Dopo essere stato con questi amici, ho sentito che in quella definizione di Màrquez qualcosa
non quadrava. Ciò che ha guidato e composto la vita di questa famiglia è stato
l’amore che è scoppiato a un dato momento, e che è sempre cresciuto. Mi sono
apparse come persone che continuano a stupirsi della vita. Attori e spettatori
nello stesso tempo. Non ricordano la vita ma si stupiscono ogni giorno di più
delle loro stesse azioni che si combinano secondo una logica bellezza e una
perfezione che prende il via dagli atti stessi… e non mancano gallerie oscure. È
il continuo svelamento del grande mistero dell’amore.
Una famiglia così è un bene per gli amici, per il quartiere, per la
città.