sabato 17 maggio 2014

Il diritto di essere se stessi



Una delle più grandi difficoltà della vita comunitaria è che si obbligano a volte le persone a essere diverse da quello che sono; si appiccica su di loro un ideale al quale devono conformarsi. 
Se non arrivano a identificarsi all’immagine che si fa di loro,  temono di non essere amati o almeno di dare una delusione.
Se ci arrivano, credono di essere perfetti.
Ora, in una comunità, non si tratta di avere delle persone perfette. Una comunità è fatta di persone legate le une alle altre, ognuna fatta di quel miscuglio di bene e di male, di tenebre e di luce, di amore e di odio. E la comunità non è che la terra in cui ognuno può crescere senza paura verso la liberazione delle forme d’amore che sono nascoste in lui. Ma non ci può essere crescita che si riconosca che c’è possibilità di progresso, e dunque che c’è ancora in noi una quantità di cose da purificare, tenebre da trasformare in luce, paure da trasformare in fiducia.

Spesso, nella vita comunitaria, ci si aspetta troppo dalle persone, e s’impedisce loro di riconoscersi e di accettarsi così come sono.
Le si giudica molto presto, o le si classifica in categorie. Esse sono allora obbligate a nascondersi dietro una certa maschera. Ma loro hanno il diritto di essere brutte, e di avere un mucchio di tenebre dentro di sé, e angoli ancora induriti nel loro cuore in cui si nasconde la gelosia e perfino l’odio!
Queste gelosie, queste insicurezze sono naturali; non sono “malattie vergognose”. Esse appartengono alla nostra natura ferita.
E’ la nostra realtà.
Bisogna impararle ad accettarle, a vivere con esse senza drammi, e a poco a poco, sapendosi perdonati, a camminare  verso la liberazione.


Io vedo nelle comunità certe persone vivere una specie di colpevolezza inconscia; hanno l’impressione di non essere quello che dovrebbero essere. Hanno bisogno di essere confermate e incoraggiate alla fiducia.
Hanno bisogno di sentire che possono condividere anche la loro debolezza senza essere respinte.



Jean Vanier

 La comunità luogo del perdono e della festa

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Questa sì che è una pagina forte.
Tanino, ti ringrazio.
Sono un religioso e so che sotto ogni parola che dice Jean Vanier ci siano drammi, lacrime, fallimenti e disperazione... in nome di Dio(sic!).
Divenire se stessi, essere se stessi è il connotato più serio della nostra cultura occidentale.
Diffonderò questa pagina e ti ringrazio.
Ciao,
P. L.

Anonimo ha detto...

Grazie! Un testo difficile che fa intravedere cosa può diventare una convivenza religiosa.
C'è eroismo in una scelta di vita comunitaria. Non si spiegherebbe senza la fede.
C. B.

Anonimo ha detto...

Non sono un "religioso" propriamente detto, ma come tutti vino in una comunità - famiglia, ufficio, amici, ..... quanto è vero, in queste parole mi sono visto, in tanti comportamenti avuti e subiti, vittima e carnefice. Tanino grazie.
Carlo Vetrano

De Varese quidem ha detto...

Un testo davvero straordinario. Da applicare anche (e forse... soprattutto) nel rapporto di coppia, non trovi? Me lo faccio mio! Mi dà pace. Mi aiuta a comprendere sia me stessa che il mio partner. Grazie Tanino!!

Anonimo ha detto...

Tanino, hai scelto un pezzo di valore.
Ringrazio quelli che hanno detto qualcosa: penso che tutti siamo in una comunità, come dice Carlo Vetrano, e siamo tutti nella stessa barca.
Non è soltanto il convento il luogo dove bisogna gestire il diritto di essere se stessi.
Comunque un bel testo,
grazie, Tanino!
Teresa S.