“Marta, Marta, tu ti
affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno” (Lc 10,
41-42).
Quanto affetto nel ripetere questo nome: Marta, Marta. La casa
di Betania, alle porte di Gerusalemme, è un luogo dove Gesù usa fermarsi e
riposare con i suoi discepoli. Fuori, in città, deve discutere, trova
opposizione e rifiuto, qui invece c’è pace e accoglienza.
Marta è intraprendente e attiva. Lo dimostrerà anche alla morte
del fratello, quando ingaggia con Gesù una conversazione sostenuta, nella quale
lo interpella con energia. È una donna forte, che mostra una grande fede. Alla
domanda: “Credi che io sono la risurrezione e la vita?”, risponde senza
esitare: “Sì, Signore, io credo” (cf. Gv 11, 25-27).
Anche adesso è indaffarata a preparare un’accoglienza degna del
Maestro e dei suoi discepoli. È la padrona di casa (come dice il nome stesso:
Marta significa “padrona”) e quindi si sente responsabile. Probabilmente sta
preparando la cena per l’ospite di riguardo. Maria, la sorella, l’ha lasciata sola
alle sue occupazioni. Contrariamente alle consuetudini orientali, invece di
stare in cucina, se ne sta con gli uomini ad ascoltare Gesù, seduta ai suoi
piedi, proprio come la perfetta discepola. Per questo l’intervento un po’
risentito di Marta: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a
servire? Dille dunque che mi aiuti» (Lc 10,40). Ed ecco la risposta
affettuosa e insieme ferma di Gesù:
“Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di
una cosa sola c’è bisogno.”
Non era contento Gesù dell’intraprendenza e del servizio
generoso di Marta? Non gradiva l’accoglienza concreta e non avrebbe gustato
volentieri le vivande che gli stava preparando? Poco dopo questo episodio,
nelle parabole loderà amministratori, imprenditori e dipendenti che sanno
mettere a frutto talenti e trafficare i beni (cf. Lc 12, 42; 19, 12-26).
Ne loda perfino la scaltrezza (cf. Lc 16, 1-8). Non poteva quindi non
rallegrarsi nel vedere una donna così piena di iniziativa e capace di
un’accoglienza fattiva e copiosa.
Quello che le rimprovera è l’affanno e la preoccupazione che
mette nel lavoro. È agitata, è «presa dai molti servizi» (Lc 10,40), ha
perduto la calma. Non è più lei a guidare il lavoro, è piuttosto il lavoro che
ha preso il sopravvento e la tiranneggia. Non è più libera, è diventata schiava
della sua occupazione.
Non capita anche a noi a volte di disperderci nelle mille cose
da fare? Siamo attratti e distratti da internet, dalle chat, dagli inutili sms.
Anche quando sono gli impegni seri ad occuparci, essi possono farci dimenticare
di rimanere attenti agli altri, di ascoltare le persone che ci sono vicine. Il
pericolo è soprattutto perdere di vista perché e per chi lavoriamo. Il lavoro e
le altre occupazioni diventano fine a se stessi.
Oppure siamo presi dall’ansia e dall’agitazione davanti a
situazioni e problemi difficili che riguardano la famiglia, l’economia, la
carriera, la scuola, il futuro nostro o dei figli, al punto di
dimenticare le parole di Gesù: «Non affannatevi dunque dicendo:
Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste
cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete
bisogno» (Mt 6, 31-32). Meritiamo anche noi il rimprovero di Gesù:
“Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di
una cosa sola c’è bisogno.”
Qual è la sola cosa di cui c’è bisogno? Ascoltare e vivere le
parole di Gesù. Ad esse – e a lui che parla – non si può anteporre
assolutamente nulla. Il vero modo di ospitare il Signore, di fargli casa, è accogliere
ciò che egli ci dice. Proprio come ha fatto Maria, che ha dimenticato tutto, si
è messa ai suoi piedi e non ha perduto una sua parola. Non saremo guidati dal
desiderio di metterci in mostra o di primeggiare, ma di piacere a lui, di
essere al servizio del suo regno.
Come Marta, anche noi siamo chiamati a fare “molte cose” per il
bene degli altri. Gesù ci ha insegnato che il Padre è contento che portiamo
“molto frutto” (cf. Gv 15, 8) e che addirittura faremo cose più grandi
di lui (cf. Gv 14, 12). Egli attende dunque da noi dedizione, passione
nel lavoro che ci è dato da compiere, inventiva, audacia, intraprendenza. Ma
senza affanno e agitazione, con quella pace che viene dal sapere che stiamo
compiendo la volontà di Dio.
La sola cosa che importa è dunque diventare discepoli di Gesù,
lasciarlo vivere in noi, essere attenti ai suoi suggerimenti, alla sua voce
sottile che ci orienta momento per momento. In questo modo sarà lui a guidarci
in ogni nostra azione.
Nel compiere le “molte cose” non saremo distratti e dispersi
perché, seguendo le parole di Gesù, saremo mossi soltanto dall’amore. In tutte
le occupazioni faremo sempre una cosa sola: amare.
Fabio Ciardi
Foto di Ferenc Farkas
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