L'uomo non sapeva. Ma
la notte sapeva: “Aveva meritato di sapere il tempo e l'ora in
cui il Cristo sarebbe risorto”. Nel mistero affermato dalla liturgia, l’accento
inconfondibile della più alta poesia.
Che può aver fatto questa notte di marzo avanzato o sui primi d’aprile per meritare
d'accompagnare il Risorgente? “Mentre tutte le cose tacevano e la notte era al
colmo del suo andare, dalle sedi regali discese la sua Parola onnipotente”. In
Betlem, prima dei pastori, accanto alla Vergine e a Giuseppe, vigilarono i
silenzi della notte. colmi di stelle e di preghiere pronunciate col cuore
genuflesso da tutte le creature.
Nella notte la creazione si purifica da ogni contagio e
ritrova quelle limpide confidenze tra cielo e terra, che l’uomo troppo spesso
impedisce con la sua presenza piena d'orgoglio e di frastuono.
Quando è notte, la terra può ascoltare e seguire tutti i
movimenti misteriosi del suo grembo perennemente fecondo: il seme che rompe
l'involucro, il germe che spunta, la linfa che sale, le acque che scorrono
nelle sue viscere, dopo aver dolcemente baciato ogni granello di sabbia.
Quanta fedeltà nella terra! quanto cuore nella notte! Per
questa fedeltà e per questo cuore, la notte “ha meritato” di conoscere l’ora
della rigerminazione del corpo del Salvatore, affidato alla terra con la stessa
umiltà con cui un giorno era stato affidato al seno della Purissima.
La divina avventura del Risorto non poteva avere a
testimonio che i puri adoranti silenzi della notte, l’ineffabile sinfonia delle
creature che riposano nella grande pace delle chiarità lunari, gli occhi delle
stelle che vedono gli angeli trasvolare di cielo in cielo e scendere sulla
terra a guardia di un sepolcro vuoto.
È la notte di cui sta scritto: “E la notte sarà
illuminata come il giorno”. Ed è la santità di questa notte che sa, “la quale
fuga i delitti, lava le colpe, ridona l'innocenza ai colpevoli e la letizia ai
mesti. Fuga gli odi, ritorna la concordia e sottomette gli imperi”.
don Primo Mazzolari, Dietro
la croce e Il segno dei chiodi, Bologna 1983, pp.
212-214
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